Usa, tripletta di Romney

Il candidato mormone vince in Wisconsin, Maryland e Washington DC e si porta a quota 630 delegati (sui 1.144). Santorum non molla e cita Clint Eastwood: "Siamo a metà partita". SPECIALE ELEZIONI USA 2012

Usa, tripletta di Romney
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Tripletta per Mitt Romney, che vince le primarie in Wisconsin, Maryland e Washington DC e chiude - di fatto - la partita per la nomination repubblicana, anche se matematicamente la corsa resta ancora aperta. Occorrono, infatti, 1.144 delegati, lui per ora è a quota 630. Santorum è fermo a 264 (Gingrich 137, Ron Paul 71). L’ex governatore del Massachusetts ormai è il candidato in pectore in vista della sfida del 6 novembre contro il presidente Barack Obama. Ora cosa accadrà in casa repubblicana? Gli altri sfidanti si faranno da parte lasciando campo aperto al candidato mormone? Fra poco sapremo. Qualcuno pensa che Gingrich e Santorum non vogliano saperne di fare un passo indietro (salvo accordi, per esempio un posto nel ticket presidenziale), ma che puntino a impedire a Romney di arrivare alla fatidica quota di 1.144 delegati. In questo caso cosa accadrebbe? Toccherebbe alla convention decidere il nome del candidato. E, teoricamente, potrebbe essere scelto anche un candidato diverso. Di certo, però, sarebbe un vero e proprio gioco al massacro per i repubblicani. L'establishment del Gop, ovviamente, sta facendo di tutto per scongiurare questa ipotesi, puntellando la candidatura di Romney. In che modo? Attraverso gli endorsement (sostegni) di personaggi di spicco - e di peso - e, soprattutto, individuando un candidato alla vice presidenza in grado di attirare le simpatie - e i voti - dell'ala ultra conservatrice. Si parla con sempre più insistenza di Marco Rubio, Bobby Jindal e Chris Christie. Ma potrebbe spuntare anche un altro nome a sopresa (se fosse Santorum?).

Romney cerca di convincere tutti a mettere da parte le lotte interne al partito e unirsi a lui. Lo ha chiesto, con forza, ai repubblicani di Connecticut, Delaware, New York, Pennsylvania, e Rhode Island (un mini Super martedi, in programma il 24 aprile) che potrebbero chiudere - anche formalmente - il conto delle primarie per entrare nel vivo della campagna elettorale contro Obama. In Pennsylvania, che Santorum ha rappresentato al Senato di Washington, i sondaggi vedono favorito l’esponente ultraconservatore. Ma Romney potrebbe ribaltare la situazione, o quantomeno ridurre le velleità del candidato di origini italoamericane.

Santorum cita Eastwood

Santorum rievoca l'espressione usata da Clint Eastwood nel famoso spot tv della Chrysler, andato in onda durante il Superbowl. "Siamo a metà della partita. Tanta gente deve essere ancora dire la sua", esclama al microfono. Ma si vede che il primo a esserne poco convinto è lui stesso. La batosta delle urne è chiara e netta.

Le carte su cui punta Romney

Con la nomination (quasi) in tasca Romney pensa già alla campagna elettorale. Vuol puntare sulla debolezza dell’economia per descrivere la presidenza di Obama come inefficace e lontana dai problemi della gente comune. Dimentica, a onor del vero, che gli Stati Uniti hanno attraversato (e ancora non è stata superata) una durissima crisi. "Dopo anni passati in volo sull’Air Force One, circondato da collaboratori che lo adorano e non fanno che ripetergli che è un presidente straordinario, si finisce con il perdere il senso della realtà", ha attaccato il repubblicano. Del resto, aggiunge, "questo non è un presidente eletto in virtù dei traguardi raggiunti o delle sue capacità, ma per la sua personalità e storia straordinarie. Alla prova dei fatti la politica economia di Obama è stata disastrosa". L’economia sarà pure in ripresa, ammette Romney, ma "46 milioni di americani vivono con buoni pasto dei servizi di assistenza sociale". Dunque, altro che rose e fiori. L'ultima parola, ovviamente, spetta agli americani. Romney gioca le sue carte: "Obama è ancora convinto di avere fatto un buon lavoro. Dovrebbe andare per strada a sentire le storie che raccontano gli americani".

Basteranno, queste parole, a indurre gli elettori - soprattutto i cosiddetti indipendenti, vero e proprio ago della bilancia - a voltare pagina? Oppure Obama riuscirà a convincere gli americani a continuare a sognare insieme a lui? Fra sette mesi sapremo.

 

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