Il centro di gravità dell'Unione europea si sta spostando, e questo fenomeno è in corso da tempo. Ben prima dell'inizio della brutale guerra di aggressione contro l'Ucraina, che ha rivelato fratture tra gli alleati, c'era la sensazione che l'asse franco-tedesco, a lungo il motore dell'integrazione continentale, fosse in fase di stallo. L'uscita di scena della cancelliera Angela Merkel, «Regina d'Europa» senza corona, ha lasciato il campo a una traballante «coalizione semaforo», che si è trovata sempre più in contrasto con le posizioni del presidente francese Emmanuel Macron. Queste differenze sono poi state accentuate dalla diversa risposta dei due Paesi di fronte alla guerra.
Mentre il motore franco-tedesco si spegneva, cominciavano ad emergere in Europa nuovi slanci. I Paesi nordici e quelli orientali, tra i più accaniti difensori di Kiev, hanno acquisito maggiore rilevanza sullo scacchiere; Varsavia, Tallinn ed Helsinki - tra gli altri - si sono ritrovati improvvisamente al centro dell'attenzione. Quei Paesi più avvezzi agli orrori e alle ambizioni imperiali di Mosca hanno subito allertato l'Europa sui pericoli di un revanscismo russo; non sorprende che siano anche stati tra i più convinti sostenitori di un'azione a sostegno dell'Ucraina per contrastare il Cremlino. Più sorpendente, invece, è stata l'iniziativa proveniente dal Mediterraneo.
Il 25 settembre 2022, Giorgia Meloni, leader del partito post-fascista Fratelli d'Italia, è stata eletta presidente del Consiglio, alla guida di una coalizione di partiti conservatori che include la Lega di Matteo Salvini (più radicale) e Forza Italia (più moderato). La sua salita al potere è stata vista come l'apogeo dei movimenti di estrema destra e per questo deprecata da vari governi europei. A distanza di un anno, tuttavia, lontano dalla retorica incendiaria che ha sposato in campagna elettorale, la Meloni si è dimostrata intrinsecamente pragmatica, con i suoi impulsi radicali apparentemente mitigati dal realismo necessario a chi governa in tempi di crisi.
Ciò non significa ovviamente che il suo mandato finora sia stato privo di problemi: la gestione dei fondi europei del Recovery post-pandemia (il Pnrr) è stata deludente - solo 26 miliardi di euro spesi a fronte dei 67 ricevuti e dei 191 promessi; le inclinazioni populiste in ambito nazionale hanno portato a provvedimenti come la tassa del 40% sugli extraprofitti delle banche, annunciata il mese scorso e rapidamente modificata quando le azioni sono crollate; infine, la sua inefficacia nell'affrontare la crisi migratoria, uno dei punti cardine della sua campagna elettorale (in cui era stato agitato lo spettro della «sostituzione etnica»), ha visto quasi raddoppiare il numero di arrivi di immigrati irregolari su barche provenienti dal Nord Africa.
Tuttavia, la performance della Meloni sul palcoscenico internazionale - dove molti si aspettavano che la sua mancanza di esperienza, unita alle promesse di mettere al primo posto gli interessi dell'Italia come da copione trumpiano, avrebbe avuto profonde ripercussioni - è stata sorprendente. In netto contrasto con le critiche pungenti rivolte alla Ue durante la campagna elettorale, ha cercato - e trovato - alleati a Bruxelles. Alla faccia dei timori internazionali, non ha seguito le orme dei suoi partner di coalizione favorevoli al Cremlino (quattro mesi prima della sua scomparsa, l'ex premier e leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, ha attribuito la responsabilità della guerra in Ucraina al presidente ucraino Zelensky), e la sua determinazione nel sostenere Kiev è stata incrollabile. Al contempo, le indiscrezioni secondo cui l'Italia si ritirerà dalla Via della Seta cinese (rimane l'unica nazione del G7 ad aver aderito), presumibilmente a favore di un più vantaggioso accordo di partenariato strategico, riflettono il valore che la Meloni attribuisce all'alleanza atlantica, in un momento in cui cerca di rafforzare i legami con l'amministrazione Biden.
Dove la Meloni si è veramente distinta, però, è stato nel campo dell'energia. Si è distaccata da altri colleghi di destra (sia in Europa sia negli Stati Uniti), riconoscendo e rispondendo alla minaccia del cambiamento climatico in quanto tale, impegnandosi a raggiungere gli obiettivi europei di zero emissioni e sostenendo i finanziamenti per i Paesi più colpiti dalle conseguenze del riscaldamento del pianeta. Ha seguito le orme del suo predecessore Mario Draghi in Africa, costruendo ed espandendo le relazioni di Roma con i Paesi del Nord del continente e oltre. A gennaio, durante la sua prima visita di Stato all'estero, ha definito l'Algeria come il partner «più stabile, strategico e di lunga data» del suo Paese nell'area; l'anno precedente, il governo di Draghi ha finalizzato un accordo grazie al quale Algeri ha sostituito Mosca come principale fornitore di gas.
Il quadro della diplomazia energetica tessuto della Meloni con i Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo è incentrato sull'obiettivo di trasformare l'Italia in un hub energetico che colleghi il Nord Africa all'Europa. La scelta del nome «Piano Mattei per l'Africa» è stata ponderata: invocando il fondatore del gigante italiano dell'energia Eni, Enrico Mattei, si rifà alla sua visione di una cooperazione reciprocamente vantaggiosa tra i due continenti, basata sulla fornitura di energia; una visione che l'attuale leader italiana spera di ricreare nei suoi sforzi per ridurre la dipendenza del suo Paese dalla Russia e per rafforzare il suo peso nel Mediterraneo e oltre.
In vista delle elezioni europee del prossimo giugno, in cui si prevede un boom dei partiti di destra - secondo un sondaggio di Politico di agosto, se le elezioni si tenessero ora, il gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (di cui Meloni è a capo) si catapulterebbe al terzo posto in Parlamento - Giorgia Meloni ha un ruolo importante da svolgere. Voce moderata alla guida di un partito di estrema destra, la sua influenza potrebbe essere decisiva nel temperare gli slanci più divisivi di un movimento che, a volte, ha abbracciato l'euroscetticismo.
Ma la Meloni ha chiarito di ritenere che l'Italia appartiene all'Ue - e forse ha anche l'ambizione di guidarla. Resta da vedere se sarà in grado di superare le gravi sfide che la attendono, comprese le divisioni all'interno della sua stessa coalizione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.