Così il sindacato "verde" ha sacrificato gli operai

Il corto circuito europeo: perché, tra aiutare la competitività delle proprie fabbriche e sostenere le politiche green, il sindacato ha scelto la seconda?

Così il sindacato "verde" ha sacrificato gli operai

Davanti alla crisi dell'auto è partito il gioco «trova le colpe». Unica regola: non può essere il Green Deal. Grande spettacolo della fantasia umana che spazia da «pochi e tardivi investimenti nella elettrificazione» alla «scarsa competitività verso l'industria cinese», due menzogne insostenibili. Se c'è una cosa che mette in crisi le industrie europee è aver investito troppo e, per qualcuno, troppo presto; per altri, troppo e basta. La competitività dei cinesi è cosa nota da anni e frutto di pianificazione statalista, regole ridotte ai minimi e lavoro a basso costo: che si fa, imitiamo? Il fatto è che quasi nessuno dei commentatori e dei reporter ha il fegato di andare contro i promotori dell'utopia green, che sono i figli in salsa verde degli utopisti rossi, entrambi poco amanti delle auto e di chi le fabbrica e sorvoliamo che sarebbero i loro elettori. Anche l'industria non ha brillato per coraggio e vediamo come.

La genesi delle crisi industriali tedesca e italiana è culturale prima che economica e industriale. Sono sempre le idee che guidano le decisioni degli uomini. Qui l'idea è che i problemi, invece di affrontarli, si possano aggirare e nascondere sotto il tappeto finché è possibile anche un po' dopo. L'altra idea è che i redditi vadano garantiti e la ricchezza distribuita, a prescindere se sia stata creata o distrutta. L'Europa è una socialdemocrazia? Bene, questa idea è la parte «social». Ora però caliamo la filosofia nella vita vera. L'industria automobilistica dell'Europa occidentale soffre di una sovraccapacità produttiva da almeno due decenni, unita a un costo del lavoro molto elevato. Finché si poteva, se la sono suonata e cantata in casa. Giusto la Spagna nel secolo scorso si affermò come produttore di automobili conveniente rispetto a Germania e Italia, ma nulla che non si potesse sopportare. Poi con gli anni giapponesi e coreani cominciarono a premere, con prodotti di qualità a prezzi competitivi. Nel frattempo, e per ragioni del tutto diverse, l'Unione si allargava a est, inglobando economie ex-comuniste con standard di vita assai più frugali a cui non parve vero di ricevere insediamenti produttivi della grande industria delle quattro ruote. Così, invece di chiedersi se e quale fosse la soluzione alle debolezze delle fabbriche occidentali, si scelse di aumentare la capacità produttiva con impianti nell'est, i cui costi inferiori tornavano utili per bilanciare quelli fuori mercato dell'ovest. Per fare un paragone, a seguito della crisi Lehman del 2008 gli Stati Uniti tagliarono la capacità produttiva chiudendo alcune decine di impianti, cosa che l'Europa si guardò bene dal fare: da noi le fabbriche non si chiudono, mai. Che può essere anche una politica giusta. A nessuno piace essere sbattuto in mezzo a una strada senza reddito, come si vede nei film americani. Bene, allora vediamo di aggiustare e risolvere i problemi. No, le cause non si devono rimuovere, tanto siamo ricchi abbastanza per sopportare diseconomie industriali. Davvero il grande sindacato IG Metall, che siede nel Consiglio di Volkswagen dunque concorre a gestirla, vedeva il commercio globale avanzare in uscita dalla Germania e pensava che sarebbe stato solo e sempre così, a senso unico? Già dagli Stati Uniti arrivavano segnali di insofferenza verso un Paese che gli vendeva tante macchine ma ne comprava poche. Ma niente, le loro macchine andavano a ruba tra gli affluenti cinesi, un esercito di nuovi e benestanti consumatori che stava creando il più grande mercato del mondo. Allora, perché dannarsi e discutere in casa quando dall'altra parte del globo si facevano profitti con la pala? Sì, è vero che quelle fabbriche erano in joint con i locali che si appropriavano della tecnologia, ma dove stava il problema? Allora forse si poteva fingere di non vederlo, oggi invece fa male: i cinesi stanno preferendo le auto domestiche a quelle europee, i cui volumi sono in caduta libera.

Non arrivando più soldi dalla Cina, in Germania è arrivato il dolore: bisogna tagliare i costi del lavoro. Come, si può discutere. E infatti hanno discusso e hanno trovato un accordo. Ma hanno risolto il problema? Hanno rimosso le cause? Almeno, le hanno individuate in modo esplicito? Macché. Il gioco delle idee continua alla grande: è il mercato che non c'è, non è colpa di nessuno. Al massimo, abbiamo ritardato la corsa alla Thelma&Louise verso l'elettrico, quel vuoto fatto dai clienti che non ci sono. In effetti, sì, si poteva accelerare peccato non averci pensato. Eppure proprio questo chiedeva a Volkswagen il sindacato tedesco tre anni fa, di anticipare il progetto Trinity: auto elettriche e guida autonoma per sfilare a Tesla la leadership delle auto elettriche. Un film che era una proiezione delle idee, di quella cultura che non accettava, e non accetta, di misurarsi con la realtà. Perché, tra aiutare la competitività delle proprie fabbriche e sostenere le politiche green, il sindacato ha scelto la seconda? Perché tra rappresentare i lavoratori e rappresentare una parte politica, ha scelto la seconda? È questo il cortocircuito ideologico che ha mandato fuori binario la locomotiva industriale d'Europa. In questa crisi il sindacato non è la soluzione, fa parte del problema. Per quell'idea fissa di avversione per il mercato, che spesso può non piacere ma ha di bello che è sincero: ti indica sempre ciò che non funziona. Poi diventa una tua scelta, se aggiustare o tenerti lo squilibrio, che ci può anche stare in un contratto sociale. Basta essere chiari e non prendersi in giro.

Il fatto è che non si può, le regole del gioco non lo consentono. Le colpe vanno cercate sì, ma fino a livello dell'industria. Sopra, a quel terzo livello che indicò pure Buscetta a Falcone, non si può arrivare. Nei decenni scorsi i problemi di scarsa competitività industriale non sono stati affrontati ma nascosti sotto tappeti vari, dalle fabbriche nell'est Europa fino al mercato cinese. Allo stesso modo il Green Deal, che ha cappottato l'industria europea non solo automobilistica, non può essere denunciato, nemmeno da quelle forze politiche che lo cancellerebbero in un secondo.

Tutto per servo encomio culturale a quella socialdemocrazia che è all'angolo quasi ovunque e non vuole sapere perché. Poi a febbraio ci stupiremo del successo di AFD in Germania e ci chiederemo come mai. Già, come mai? Certamente non per colpa di quelle idee scollegate dalla realtà. Quelle no. Quelle mai.

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