I racconti, si sa, sono la bestia nera degli editori. Dicono che non vendono, e forse è vero, ma non è che poi i romanzi generino fenomeni di accaparramento: vendono poco anche i romanzi. I racconti, almeno, hanno un vantaggio: sono più resistenti alla formula della predica, al bric à brac edificante che vorrebbe trasformare la letteratura in una branca della morale. Da questo punto di vista, l'apparizione del nuovo libro di Leopoldo Carlesimo, La zia pazza (Edizioni iod, 334 pagg., 15 euro) rappresenta una conferma. Carlesimo è un ingegnere che ha lavorato in ruoli apicali alla costruzione di dighe, soprattutto in Africa. L'ambiente del cantiere, che con la sua costellazione di operai, ingegneri e capi di villaggio non nasconde le sue ambizioni di rutilante microcosmo, è al centro dell'attenzione dell'autore dal suo esordio nel 2005 fino alla prova notevolissima di Perimetro Kuhn, probabilmente le pagine africane più significative che siano apparse dopo Tempo di uccidere di Flaiano. La diga, muro d'acqua che spedisce nella contemporaneità popolazioni rimaste estranee al progresso, adombra un Occidente la cui gentle force inghiotte le diversità più riluttanti.
Ma cosa accade quando la medesima forza brandisce contro di sé le sue armi? La zia pazza ha molto da dire, perché costituisce una sorta di ritorno a casa: se si escludono gli ultimi tre racconti, di ambientazione africana, gli altri sono storie di famiglia, e di famiglie europee. Il lettore non tema, non siamo di fronte all'ennesimo romanzo in cui una donna vissuta in città, approfittando di un funerale, torna nel paese natale. Anzi, a dirla tutta, la famiglia qui non fa una bella figura e i parenti coinvolti, non solo dunque la zia, hanno più di una corda pazza. Professori di liceo a bordo piscina che dimenticano di controllare le cinghie del passeggino della figlia; miti, bonari cagnoni che sbranano; professionisti di successo sedotti da una follia che alligna in loro da sempre.
La sensazione profonda è di sfondamento: quando l'Occidente modifica un qualche Oriente, assimilandolo, il processo è glorioso e prelude ad un'epica; quando non ha niente da divorare, a parte se stesso, l'esito è grottesco, folle. L'Occidente allo specchio genera mostri.
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