«Farepassato» vuol far tacere chi critica Gianfranco

Sarà, ma un piccolo dubbio rimane. Che dietro a quel nome giovanilistico e propositivo - Farefuturo - così proiettato in avanti, quasi a voler gettare il cuore oltre l’ostacolo, si nascondano ancora - gratta, gratta - nostalgie di un antico ieri? Di un Farepassato, insomma. Il dubbio è piccolo, dicevamo, ma pur sempre legittimo. A sollevarlo è la considerazione che, pur se veicolato online (ulteriore pulsione verso la modernità), sul periodico della Fondazione di Gianfranco Fini riemergono ancora argomenti che sanno di un tempo che fu. Di uno «stai zitto quando parlo io». Di una minestra da ingoiare in alternativa al salto dalla finestra.
Così, dopo l’invito lanciato giorni fa dal finiano (nonché «facitore di futuro») Italo Bocchino, affinché Silvio Berlusconi si liberi dei servigi di Vittorio Feltri, reo di non rendere «un buon servizio alla famiglia dell'editore», a scendere con i piedi nel piatto è stato ieri tal Filippo Rossi. Il quale, per chi non lo sapesse, è il giovane direttore della newsletter della Fondazione stessa. Foglio virtuale sormontato da un titolo - Ffwebmagazine - che, se non illeggibile, risulta quantomeno di faticosa pronuncia anche a chi abbia buona dimestichezza con l’idioma della perfida Albione. Ma che volete? Per fare il futuro, va bene anche un nome.
Rossi - udite, udite - invita Feltri a cambiare mestiere. Lo fa aggirando il Cavaliere, ma rivolgendosi veemente agli esponenti di spicco del Pdl. «Quel che non si capisce - manda a dire - è come sia possibile che leader politici di lungo corso e di tradizione consolidata come Giulio Tremonti, Claudio Scajola, Franco Frattini, accettino senza fiatare che un caudillo detti la linea di un grande partito europeo».
A rivestire il ruolo di dittatore militare, degno erede di un Antonio Lopez de Santa Anna (lo sterminatore di Davy Crockett e di tutti i suoi volontari nell’assedio di Alamo) o di un più recente Francisco Franco, sarebbe ovviamente Feltri, definito «leader con un giornale senza partito», il quale «si sfoga pretendendo, metastasi maligna (ma sono tutte maligne, ndr), che il Pdl, movimento nato moderato, liberale ed europeo, si trasformi in quel che non potrà mai essere». Un Feltri che, sempre a dire di Rossi, sarebbe il portavoce di una destra capace di parlare «solo a una rumorosa minoranza di incazzati». Un Feltri, citiamo sempre, «capo fazione perfetto» che può inoltre contare su «una classe dirigente soddisfatta finalmente dei nuovi ruoli dirigenziali: Marcello Veneziani, Daniela Santanchè e tanti altri... Gente con una certezza sempre in tasca».
La sua certezza, quella di Rossi, si traduce comunque in quel curioso invito a Feltri. Quello di uscire dal Pdl per fondare appunto «un partito di estrema destra. Di quella vera: xenofoba, populista, stracciona, sempre incazzata (il termine evidentemente gli piace, ndr), con la bava alla bocca».


Peccato soltanto gli sfugga, al fulvo Rossi, che nel Pdl, così come in altri partiti, il nostro direttore non ci sia mai entrato. Che non abbia tessere. «Faccio il giornalista da 45 anni e me la sono sempre cavata senza i consigli di Rossi - è infatti la sua replica -. Visti i risultati, forse converrebbe a lui, e non a me, cambiare mestiere».

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