Favorevole Non è un vip incompetente, lui ha fatto anche il regista

Luciano Ligabue giurato alla Mostra di Venezia. Vi stupite? Ma nel 1998 nessuno obiettò quando Radiofreccia, primo film da lui diretto, vi fu in concorso. Dietro Ligabue, c’era Antonello Grimaldi, si disse. E allora? C’era Alessandro Blasetti dietro il film d’esordio di Pietro Germi, Il testimone. C’era Bernardo Bertolucci dietro Accattone di Pier Paolo Pasolini, che alla Mostra partecipò nel 1961. C’era Franco Cristaldi dietro Nuovo cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, gran premio della giuria al Festival di Cannes nel 1989. Solo per citare i più noti casi simili.
Radiofreccia è rimasto un episodio di regia nella vita di un cantante? Anche La morte corre sul fiume di Charles Laughton è rimasto un episodio di regia nella vita di un attore: chi dubita che sia un classico? Radiofreccia non lo è. Ma, a recriminare per ogni fIlm meritevole d’oblio nei grossi festival, questi pretesti per gite collettive finirebbero. E poi spesso le giurie festivaliere hanno incluso o sono state presiedute da celebrità non proprio cinematografiche.
Fu la giuria di Cannes di Georges Simenon, con Henry Miller (che i film nemmeno vedeva) a premiare La dolce vita di Federico Fellini e L’avventura di Michelangelo Antonioni. In compenso, sempre a Cannes, è stata la giuria presieduta da un regista anche teatrale, Patrice Chéreau, a non premiare Mystic River di Clint Eastwood. Insomma, il prestigio dei giurati non li sottrae a valutazioni dettate, da ultimo, dal politicamente corretto o peggio. Magari, a far giustizia, ci sono gli Oscar: nel 2009 ne è stato coperto Millionaire di Danny Boyle, che la Mostra di Venezia non solo non aveva premiato: non l’aveva nemmeno ammesso. Idem nel 2006 per La vita degli altri di Florian Henckel von Hennersmarck.
Come si forma una giuria? Attorno a un presidente di prestigio, meglio se regista, vincitore di (quello o altro) festival. Ma dove trovarne uno in attività, però non in quel momento? La Mostra, per esempio, si svolge in estate, quando normalmente si girano i film. Per trovare il volontario, si punta - non solo a Venezia - sulla gratitudine dei precedenti premiati oppure su chi è a fine carriera ma è ancora lucido: fu il caso di John Boorman, cui si deve il Leone d’oro del 2004, andato, contro gli strepiti della stampa italiana, al Segreto di Vera Drake di Mike Leigh.
Trovato il presidente, si passa a reclutare i giurati semplici: attori e attrici, per lo più contornati da scenografi, direttori della fotografia, sceneggiatori, le cui mogli o amanti non disdegnano i giri in gondola e le cene da Cipriani a Torcello o al Quattro Fontane, al Lido.
Però quelli che ogni festival vuole sono i divi. Si baratta dunque la loro presenza in giuria con l’ammissione di un loro film al festival, naturalmente fuori concorso (film brutto, o lo si sarebbe preso in concorso, rinunciando al giurato in questione). Corollario: i giurati devono essere noti almeno dove si svolge il festival, ed è questo il caso di Ligabue. Come postulato si dà che siano affidabili, sebbene non retribuiti. Ritiri sono prevedibili, ma nel 2008 la regista Susanne Bier e l’attrice Sandrine Bonnaire disertarono all’ultimo momento la giuria del Festival di Berlino, che rimase quindi con solo cinque componenti. Sempre nel 2008 lo sceneggiatore russo Yury Arabov arrivò al Lido anche con la febbre alta. Ai contrattempi la reazione dipende dalla serietà: nel 2007 Paula Wagner, produttrice socia di Tom Cruise, era giurata per le opere prime. Poté giungere solo a metà Mostra, ma recuperò i film perduti con proiezioni notturne ad personam.

Fra i superstakanovisti dei festival, i giurati che sono anche critici, cioè che devono vedere per i loro giornali i film del concorso principale e, a Cannes, come giurati del «Certain regard», anche questi ultimi. Cinquanta film in dodici giorni. Impossibile? Nel 2006 io ce l’ho fatta.

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