Un trono e mezz’ora per raccontare la sua vita. Così è apparso giovedì notte su Raidue Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset, ospite della trasmissione «Big». Intervistato dalle «Brutus», la coppia Annalisa Bruchi e Silvia Tortora, lo storico braccio destro del Cavaliere ha ripercorso tutta la sua parabola imprenditoriale, raccontando il «suo» Silvio Berlusconi. Dalla Edilnord alla Fininvest, passando attraverso i duetti come cantanti e la passione per il Milan, un’intervista che mette a nudo il loro sodalizio e che pubblichiamo integralmente.
Presidente Confalonieri buonasera. Lei è presidente Mediaset dal ’94. Cominciamo questa intervista con una sua passione: la musica. Lei nel 2007 si è diplomato al Conservatorio di Milano in pianoforte a settant’anni: la possiamo chiamare maestro?
«Certo. Dovete, eh, eh».
Maestro, è prevista una sua esibizione in futuro? E cosa interpreterebbe?
«No, no, sarebbe patetico».
Lei a un certo momento ha smesso di suonare perché lei razionalmente si è reso conto che non era poi così dotato e che questa non era la sua strada?
«Pensare di avere duemila persone che ti stanno ad ascoltare in una sala da concerto e tu devi a memoria suonare bene, dargli quel calore, quel colore, quella cantabilità, è una professione che fa veramente tremare i polsi».
Comunque lei da giovane si è molto divertito perché aveva la sua band, i Roxy prima, i Cinque diavoli poi. Dalle balere lei era arrivato con la sua band a suonare a Saint Vincent.
«Sì, si faceva da professionisti, ma divertendosi perché eri giovane».
Comunque è risaputo che il suo cantante era Silvio Berlusconi.
«È stato anche Silvio Berlusconi».
Ma è vero che lei una volta l’ha licenziato?
«È una vecchia storia. È stato un licenziamento per giusta causa. Doveva cantare e suonare il contrabbasso, ed era sempre giù a ballare con le ragazze. Un viziettino che non ha perso, forse».
Lei viene da una famiglia che ha una grande cultura musicale. Il nonno materno era musicista.
«Il bello di quell’epoca era che trovavi gente che sapeva cantare anche l’opera. La massaia, il ragazzo del fornaio. Quando ero bambino c’era la radio, i dischi erano rari. Mio papà amava Puccini e ti comprava gli spartiti della Bohèm e o della Tosca».
Infatti suo zio Giovanni Borghi, mister Ignis, recitava nel dopolavoro della sua fabbrica e lei lo accompagnava al pianoforte. Com’erano quei momenti?
«Ma quante cose sapete! Questo era il ’46,io ero bambino e facevano il dopolavoro e ricordo che era una pièce, era un vaudeville che preparavano, che si intitolava “ Un milanès in mar ”, e ricordo che mio zio faceva il capitano in quella pièce. Con gli operai, con le maestranze, ed era un modo per divertirsi».
Però suo zio le ha trasmesso anche la passione per gli affari.
«Mi riporta all’epoca della guerra, l’epoca ’43-’44-’45 quando a Comerio nasce la Ignis. Comerio era il paese dove eravamo sfollati. I miei zii e mio nonno avevano un negozio di elettricista, ma di quegli elettricisti che facevano tutto, idraulici ecc. Erano quattro fratelli, mia mamma era la sorella, e quindi da lì, mio zio è stato un grandissimo imprenditore, un genio, un antesignano, quello che ha portato il frigorifero in Italia. Un uomo che aveva fatto la quinta elementare ma con un’intelligenza straordinaria e una capacità gestionale che è nella storia dell’imprenditoria italiana. E poi di una simpatia unica».
Dai frigoriferi alle televisioni. La sua vita è segnata dall’elettrodomestico. Dal Cavalier Borghi passiamo al Cavalier Berlusconi.
Come nasce la sua amicizia con Berlusconi?
«Direi dai calzoni corti perché eravamo insieme alle medie e poi al liceo dai salesiani e quindi quando avevamo
14-15 anni, lui ha un anno più di me anche se ne dimostra meno ovviamente, dobbiamo sottolinearlo, forse con qualche “aiutino” magari. Quindi non eravamo nella stessa classe, eravamo nella stessa scuola e siamo diventati amici, e lo siamo tutt’ora».
Ma com’era da giovane?
«Credo che fosse già l’embrione di quello che è adesso, molto spigliato, molto intraprendente. Già allora si dava da fare per vendere, tral’altro sempre elettrodomestici. Lavorava anche studiando. Il papà era impiegato di banca, che poi è diventato direttore, e quindi ci si dava da fare».
Da 40 anni il vostro è anche un sodalizio professionale.
Perché decise di lasciare la sua attività per andare a lavorare con lui?
«Beh, l’attività non andava un granché bene, per cui Silvio mi diceva: “ Vieni a lavorare con me”».
Ma lei l’ha fatto perché razionalmente aveva capito che lui era uno che sarebbe arrivato?
«Quando io sono andato assieme a lui, lui era già arrivato, stava finendo Milano 2».
Non fu magari un fatto di amicizia? Credeva proprio in quest’uomo?
«Era nel ’73 ed è stata una scelta razionale. Poi giustamente hai un amico e...».
No, perché di solito con gli amici è anche facile litigare e per cui uno evita di mettercisi in affari...
«Però guardi, Berlusconi non è mai rancoroso, puoi litigarci, puoi discuterci e non c’è mai astio,malanimo, si risolve sempre molto positivamente con lui».
Arriviamo al 1978, dai mattoni alle televisioni. Una sera riunisce i suoi più stretti collaboratori e vi dice: “Da oggi ci occupiamo di televisione”.
«Berlusconi è sempre stato molto sorprendente. La prima reazione era di dire: “Dove diavolo vuole andare?”. E qui va dato atto a Berlusconi che non ha mai buttato via soldi. Ha preso un miliardo di fido,non ha preso soldi dall’edilizia, e si è messo in gioco in prima persona. Ricordo che prese come collaboratore, dal circolo nostro dell’Edilnord, Carlo Bernasconi che si occupava allora di muratori, architetti, ingegneri, geometri. Lo portò a comprare i diritti per la televisione a Los Angeles, a Roma: i primi acquisti famosi, le star. Carlo Bernasconi è stato un altro degli attori principali come collaboratori vicini a Berlusconi. Ma Berlusconi ha fatto da solo come sempre e senza spendere troppo. Berlusconi è anche molto attento, come tutti i bravi imprenditori che non buttano via i quattrini».
Che cosa appassionava del mondo della televisione Silvio Berlusconi?
«Sa, Berlusconi è un uomo di spettacolo nato. Quando cantavamo e suonavamo insieme era uno che ci sapeva veramente fare. Se avesse seguito quella carriera sarebbe diventato un grande uomo di spettacolo. E qui trovava pane per i suoi denti. Insomma Berlusconi all’inizio si occupava di tutto, era uno che entrava negli studi, che rivedeva gli scritti, le battute di tutti. La famosa boutade di Enzo Biagi, che se avesse avuto un filino di seno avrebbe fatto anche l’annunciatrice, era una battuta scherzosa ma significativa di quanto si interessasse di tutto».
L’impero Fininvest cresce velocemente anche grazie alle televisioni. Canale Cinque, Italia 1, Retequattro, fino a superare la Rai con un programma ormai diventato storico: il “Drive in”. Ma a lei che è un musicista raffinato e un grandissimo lettore, piaceva la televisione che facevate?
« Spettacoli come Drive in o
Striscia la notizia o altre cose mi piacciono eccome, come certe fiction. È chiaro che poi ognuno ha i suoi gusti».
Ma lei quanto entra nelle scelte editoriali e nei contenuti dei programmi?
«C’era una cosa che diceva Berlusconi all’inizio: che se una cosa piaceva a me... E se non mi piaceva, voleva dire che poteva andare. Diamo a Cesare quel che è di Cesare. Se gli altri han fatto dieci, Berlusconi ha fatto novanta. Oggi nei contenuti non c’entro per niente, la tv la fa Pier Silvio e la fa molto bene».
Mi tolga una piccola curiosità: però lei il “Grande Fratello” l’ha mai visto?
«Io l’ho visto all’inizio e mi ha incuriosito molto e sono andato anche a Cinecittà a vedere questa specie di acquario e i ragazzi che erano lì. Poi mi ricordo quando partì di avere avuto un incontro con il cardinal Tonini e avevamo fatto una specie di forum ad Avvenire con Boffo e si discuteva di questo. Tonini era un po’ scandalizzato dal fatto che si usasse una terminologia come il confessionale, al limite del blasfemo secondo lui. Signori, il reality è dieci anni che c’è e ha fatto ancora il record di ascolti. Non si può pensare che quello che piace al pubblico sia necessariamente brutto e volgare. Bisogna avere rispetto per quello che pensa la maggior parte della gente. Poi, come televisione si potrebbe anche fare qualcosa di più per insegnare: una brutta parola, la televisione pedagogica. Però io credo che ci voglia. Perché - dico la
verità - alla Rai io devo un bel po’ della mia cultura. Quando la Rai è partita nel ’54, io mi ricordo che ogni venerdì c’era una commedia. Ho visto l’ Amleto di Gassman in televisione, Albertazzi, i grandi sceneggiati che arrivavano alla portata di tutti, i Fratelli Karamazov
piuttosto che Guerra e Pace .
Quindi è stata veramente una cosa importante per l’educazione. Il melodramma era fatto ad altissimo livello, Del Monaco io l’ho visto in televisione. Purtroppo questo si è perso, forse va sul conto della competizione con la televisione commerciale, la frenesia dell’audience. Oggi ancora di più c’è la frammentazione. Ma la frammentazione potrebbe portare indietro l’orologio. Parlo di un concorrente con il quale siamo ai ferri corti, ma c’è un bellissimo canale che si chiama Classica che tutto il giorno e per sette od otto o nove euro al mese ti fa vedere cose straordinarie».
Lei è considerato da sempre il volto umano del berlusconismo. Quanto è importante il suo ruolo all’interno dell’azienda?
«Alla fine alla base di tutto c’è la fortuna. Tu hai la fortuna di essere amico di Berlusconi
sconi e a 35 anni ti trovi Berlusconi che cresce, va...».
È troppo modesto.
«Non è modestia. Adesso, anche senza essere fatalisti, non è che sei tu che ti sei fatto. Nasci in una casa, hai la possibilità di studiare, di vivere in una città... chissà quanti geni sono nati in Africa, però malnutriti e nella tribù diventavano tutt’al più lo stregone o il raccontastorie. Alla base di tutto c’è la fortuna».
Ma perché lei in più di 35 anni non ha mai pensato di andare via dall’azienda? Razionalità o affetto?
«Al di là dell’affetto e della ragione, io credo che nessuna persona che abbia lavorato in questo gruppo a un certo livello si sia divertito tanto quanto me a lavorare. Io sono entrato e Berlusconi faceva i quartieri, le città con tutto quello che vuol dire di interessante, di bello, di aperto. Non è solo per i soldi: essendo un generoso Berlusconi ti fa anche guadagnare bene. Ma poi sei andato a fare l’amministratore del Giornale negli anni di piombo, a Montanelli hanno sparato nelle gambe. Era l’unico giornale, quello di Montanelli insieme al Tempo di Roma, che era fuori dal coro del compromesso storico.
Siamo nella seconda parte degli anni Settanta e nel ’ 78 hanno ammazzato Moro. Poi c’è la televisione e tu hai la possibilità di vivere quest’avventura di una rivoluzione veramente culturale perché dagli anni di piombo in quel momento passiamo al consumismo e a riscoprire che l’America non era il diavolo e che si poteva fare la pubblicità e che era bene sia per l’economia che per il Paese cambiare modelli. Poi questo accidente va pure in politica nel ’94. Io ero contrario, però l’ha indovinata lui. A uno che ti ha fatto vivere da vicino in prima fila in platea, o almeno entro le prime dieci file, delle cose così, non puoi che dirgli grazie e non puoi che essere contento. Avrei dovuto pagare il biglietto ».
Divertimenti, soddisfazioni personali... Però qualche guaietto è arrivato, giudiziario anche.
«Tantissimi. Berlusconi è un uomo che divide, ovviamente. Però uno come Berlusconi veramente è unico. E qui non mi fa velo l’amicizia, perché se c’è uno con cui discuto molto spesso è lui. Però il suo curriculum è lì da vedere e da apprezzare».
Interviene Pier Silvio Berlusconi: Zio, come facciamo a convincere chi sai tu e so io a spingere sul Milan sempre e comunque?
«Il Cavaliere ha stretto. Però credo che anche qui abbia ragione, perché si spende troppo nel calcio, ci sono delle spese veramente eccessive. Non è educativo buttare i soldi dalla finestra».
Ma lei, quando il Milan perde, cosa combina?
«Se non siete tifose non potete capire. Perché il tifoso è una persona che quando vince la sua squadra è aux anges , per dirla alla francese, cioè vive un’atmosfera. Invece se perde è ridicolo, perché uno dice: “Ma come, quello è un imprenditore, quello è uno scrittore, è una persona che dovrebbe essere seria,equilibrata”. E invece va in momentanea depressione, vede tutto nero, non guarda niente. È ridicolo, però è qualcosa che ha del religioso, mi scuso per il suono un po’ blasfemo».
Pensavo che entrasse negli spogliatoi e li strangolasse con le sue mani.
«Io poi non c’entro col Milan, sono solo un tifoso».
Però ci hanno raccontato che quando perde lei va via prima e di solito è la volta che segnano: è vero o è una cattiveria?
«È successo e per scaramanzia qualche volta lo rifaccio».
Comunque sappiamo che lei ha molti meriti per l’acquisto del Milan. Galliani dice che per lei il Milan è il vero welfare.
«Il vero welfare è se il Milan ha vinto. Perché se non ha vinto è veramente l’opposto. Mi ricordo che la decisione di comprare il Milan Berlusconi la prese in aereo mentre tornavamo da Saint Moritz. E fu come segnare un gol nella finale di coppa, perché si sa che se Berlusconi arriva da qualche parte, è un Re Mida: trasforma in oro tutto quello che tocca».
Lei è un uomo molto razionale ma anche di grandi passioni. Quella per la politica non l’ha mai tentata?
«A me piace la politica da spettatore. La politica è la prima delle scienze e forse è anche l’attività più nobile».
Niente discese in campo?
«Ma no, basta lui. Anni fa mi hanno avvicinato a Palazzo Marino, ma no. Anche perché il sindaco credo sia uno dei mestieri più difficili: se c’è una buca nella strada è colpa tua anche se sei stato il più bravo sindaco della storia... ».
Ha dei rimpianti?
«No, direi di no».
E in Dio crede?
«Ho studiato otto anni dai salesiani, quindi un’educazione religiosa ce l’ho avuta. E poi devo dire anche che mi mandavano a messa tutte le mattine. Mi ricordo che suonavo l’armonium e quindi suonavo anche le canzonette e c’era la solita spia che una volta andò dal consigliere a dire: “Quello suona Gershwin e Cole Porter”. E lui disse una bellissima frase: “Omnis lingua laudat Deum”, “Ogni lingua loda Dio”. Per cui, credo o non credo? Bisogna credere. Non possiamo non dirci cristiani».
È il momento del bilancio. Lei nella sua vita ha usato più testa o più cuore?
«Sembra un coccodrillo, non un’intervista. Comunque credo tutte e due. Nelle scelte importanti la razionalità deve prevalere. Poi però è chiaro che la razionalità dev’essere mitigata e dev’essere accompagnata dal calore, dal sentimento per gli altri. Quindi razionalità ma nello stesso tempo cuore».
Vabbè vince la ragione, me l’aspettavo,giustamente lei ha detto che la razionalità è quella che ha prevalso, quella che deve prevalere.
«Che grande autore, Auto da fé è uno dei più bei libri che abbia mai letto».
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