Il figlio dell’ex sindaco ucciso dalle Br «Digiuno per combattere il silenzio»

Stefano Zurlo

da Milano

Per vent’anni si è imposto, come un cilicio, il silenzio. Poi, in febbraio, in occasione della commemorazione per i vent’anni della morte del padre ucciso dalle Brigate rosse in una delle loro ultime azioni, si è guardato intorno sgomento: «Le istituzioni – spiega Lorenzo Conti, figlio dell’ex sindaco di Firenze Lando – non sono venute, non hanno chiamato, hanno semplicemente ignorato quella data». Qualche settimana ancora, e la frustrazione si è trasformata in indignazione. Sergio D’Elia, capo del gruppo toscano di Prima linea negli anni Settanta, è diventato deputato e addirittura segretario d’aula di Montecitorio. «Ma che democrazia è questa? Ma che messaggio vogliamo dare ai giovani?».
Al traguardo anagrafico dei quarant’anni, Conti junior ha capito di dover reclamare i riflettori dei media da cui si era sempre tenuto lontano. Quindici giorni fa, con un’intervista al quotidiano della sua città, la Nazione, aveva posto tre quesiti stringenti ad altrettanti autorevoli destinatari. Aveva suggerito al presidente della Repubblica di invitare D’Elia a lasciare la poltrona di segretario della Camera; aveva invocato una legge che impedisse il ripetersi di nuovi casi D’Elia; infine si era rivolto alla Regione Toscana per sapere quanti ex terroristi e quanti familiari delle vittime lavorano con il denaro pubblico. «Sono passate due settimane e l’unica risposta è stata il silenzio. Si sono dimenticati di noi». Conti è rattristato, ma deciso: «Bene, io oggi comincio uno sciopero della fame. Ho il diritto di sapere. Come i giovani hanno il diritto di sapere cosa pensa e come agisce lo Stato».
I segnali negativi sono troppi. O almeno così pensa Conti. «La vedova di Fausto Dionisi, ucciso a Firenze nel 1978 da Prima linea, ha protestato dopo l’elezione di D’Elia, ma nessuno le ha dato retta. Anzi, affiorano nelle istituzioni consulenze e incarichi a persone dal curriculum non proprio specchiato. Non è più in gioco un caso, s’intravede un sistema. Lo stesso per cui ex terroristi sono tranquillamente pagati da anni qui in Toscana dalla Fondazione Michelucci. Mi dispiace, ma è intollerabile. Anche mio fratello Leonardo questa estate ha segnalato il nostro disagio con un’intervista al Giornale della Toscana. E avevamo raggiunto un solo risultato: il silenzio. È ora che qualcuno si degni di ascoltarci, mi pare che abbiamo pazientato a lungo».
Conti lancia quindi la sua sfida e spera di trovare solidarietà nelle sedi giuste. Risponderanno gli interpellati? «Cominciare uno sciopero della fame può essere umiliante - replica Conti che domani sarà ospite del programma di Maurizio Belpietro «L’Antipatico» su Rete4 – ma io ho il massimo rispetto e la massima stima per la presidenza della Repubblica, per i parlamentari e per la Regione Toscana. Spero che al più presto si mettano in contatto con me e diano seguito a quelle domande. Io non voglio niente per me. Né soldi, né onori, né privilegi.

Vorrei solo parole forti e misurate per far capire al Paese da che parte stanno gli uomini che hanno responsabilità politiche in Italia oggi. Il tempo della smemoratezza deve finire: il mio piccolo sacrificio, è questa la mia ambizione, servirà per questo».

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