Filippino ucciso in strada a coltellate

Unico testimone un tassista, che ha dato l’allarme: ma per il giovane, 35 anni, sposato, lavoro a Dalmine, non c’era più nulla da fare

Paola Fucilieri

L’hanno trovato agonizzante in mezzo alla strada, alle prime luci dell’alba. Una maschera di sangue, quasi irriconoscibile, lo straniero stava esalando i suoi ultimi respiri e sarebbe morto poco più tardi, dopo l’inutile corsa dell’ambulanza alla struttura ospedaliera più vicina, la clinica Santa Rita. Una brava persona il filippino Pablito Enriquez, 35 anni, sposato e regolare in Italia dal 2002. In apparenza un uomo senza nemici. Che però ieri mattina è stato assalito da qualcuno pieno di rancore e rabbia cieca contro di lui; un altro uomo, spuntato come uno gnomo cattivo, all’improvviso e chissà da dove. Un assassino ben informato: sapeva dove trovare il filippino solo, in un momento e in un luogo in cui non ci fosse praticamente nessuno che poteva difenderlo dalla sua ira, rischiando magari di salvargli la vita spedendo lui in galera.
Così, con la pazienza di chi ha previsto tutto, ha atteso che Pablito arrivasse, alle 6, come ogni mattina, all’angolo tra via Pecchio e viale Abruzzi (a due passi da piazza Argentina e da piazzale Loreto) e si fermasse tranquillo ad aspettare l’auto dei suoi colleghi che l’avrebbero portato al lavoro a Dalmine (Bergamo), ai magazzini Upim. Il filippino abitava con la moglie proprio lì, in zona, nella vicina via Paganini e percorreva quelle poche centinaia di metri in attesa del «gruppone» che condivideva con lui quel tragitto, persone che non lo vedranno mai più.
Sull’omicidio di Pablito Enriquez indaga la sezione omicidi del nucleo operativo del comando provinciale dei carabinieri. Gli investigatori battono una pista privata o, comunque, seguono molto da vicino le abitudini personali, più o meno note, del morto. Quel che trapela dagli ambienti dell’Arma (una possibile storia di omosessualità è stata prontamente smentita, come del resto quella, già di per sé improbabile, di un’aggressione a scopo di rapina, ndr) è che il filippino conosceva sicuramente il suo assassino contro il quale, prima di morire, avrebbe inveito a lungo, ricevendo risposte altrettanto violente.
A questo fondamentale tassello che compone la misteriosa vicenda (destinata, pare, a risolversi in fretta) i militari sono giunti grazie alla testimonianza di un tassista. L’uomo è stato infatti testimone parziale del delitto. Stava sfrecciando con il suo taxi lungo viale Abruzzi verso piazza Ascoli quando, dalla parte opposta della carreggiata - appunto all’angolo con via Pecchio - ha notato un uomo che aggrediva un altro con un coltello lungo una ventina di centimetri, simile a una piccola mannaia da macellaio; entrambi gridavano. Nell’immediato il conducente dell’auto pubblica, immerso nei suoi pensieri, non ha realizzato che qualcuno poteva aver bisogno d’aiuto e, tenendo il piede schiacciato sul pedale dell'acceleratore, ha continuato la sua corsa lungo la strada, a quell’ora ancora quasi vuota. Quindi, riflettendo all’improvviso su quanto aveva appena visto, ha inchiodato all’improvviso, ha fatto retromarcia ed è tornato indietro. Appena in tempo per notare l’aggressore, un uomo che indossava una giacca di colore chiaro, scappare.


Quando il tassista è sceso dalla sua vettura, il respiro di Pablito, che già inciampava nei denti, gli ha fatto capire che sarebbe servito un miracolo a salvargli la vita tante erano state le coltellate che gli avevano bucato il collo, il torace e la schiena. Ha chiamato immediatamente il 118 e i carabinieri, ma Enriquez è morto venti minuti dopo alla clinica Santa Rita.

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