La finanza è fallita per sempre

Quando sul mercato c’è il panico (quando le cose vanno bene si chiama irrazionalità) c’è poco da fare. Il ragionamento dell’investitore impaurito è vendere tutto, indipendentemente dalla bontà di ciò che si ha in portafoglio. D’altronde nessuno si sente in grado di certificare la bontà di un investimento, di questi tempi. Nei sistemi a basso tasso di democrazia economica la soluzione è a portata di mano: semplicemente si chiudono le Borse. Lo ha fatto ieri la Russia, preoccupata dei forti cali registrati sulla piazza rossa. Gli Stati Uniti e l’Europa non possono adottare questa ricetta. Che peraltro nel medio periodo si rivelerebbe un disastro. È ormai diventato evidente che un modo di fare affari è finito. Un po’ come deve essere successo per i costruttori di carrozze alla fine dell’800.
Quelle banche e quelle istituzioni finanziarie che debbono il loro successo puramente ai proventi dell’attività finanziaria sono destinate a scomparire, come entità autonome. Nei mesi scorsi ha iniziato Bear Sterns, poi Lehman, Merrill Lynch e ieri anche le potentissime Goldman Sachs e Morgan Stanley hanno visto compromesso il loro futuro. La prima assicurazione americana, Aig, è saltata non per la sua attività tradizionale di assicuratore, bensì per la sua divisione finanziaria. Sia chiaro non c’è nulla (assolutamente nulla) di male nella finanza in sé. Semplicemente oggi non c’è più mercato per essa. Non ci si fida più della sua struttura se non è ancorata solidamente alla raccolta di quattrini dai risparmiatori. Per farla semplice la finanza continuerà ovviamente a prosperare, ma non potrà farlo in modo sconnesso ad un patrimonio tangibile, che solo il risparmio può fornire.
Il problema riguarda essenzialmente gli Stati Uniti: anzi sarebbe meglio dire New York, pur con interconnessioni globali. Per questo le autorità americane stanno intervenendo. Non hanno alcuna intenzione di gettare alle ortiche la piattaforma di successo che ha rappresentato il libero mercato. Banalmente hanno la necessità molto pragmatica di accompagnare al fallimento un’industria senza che le conseguenze si facciano sentire clamorosamente su tutto il mercato. L’attività economica è per definizione interconnessa. Poco cambierebbe se a saltare fosse (facciamo gli scongiuri) una manifattura tradizionale come quella automobilistica. Il virus si espanderebbe nel giro di pochi istanti nei confronti dei fornitori e di tutti i portatori di interesse legati alla prosperità del settore. In questo senso l’intervento americano ha una logica. Si potrà discutere per secoli di chi siano le colpe. I fatti oggi sono lineari: un comparto è fallito, i suoi collegamenti sono ramificati, il governo è alla ricerca di un atterraggio morbido. Si tende a credere che le autorità stiano privilegiando le banche più grosse (too big to fail). Non è del tutto vero. Stanno agevolando piuttosto le banche che hanno saputo cinicamente crearsi degli scudi umani. Lehman (fallita) praticamente non ha raccolta di risparmio da parte dei cittadini americani. Merrill (aiutata a fondersi con Bank of America) ha raccolto circa 2000 miliardi di dollari da cittadini Usa. Gli scudi umani, appunto.
L’Europa continentale sarà solo marginalmente toccata dall’effetto domino. Anche se non sono da sottovalutare gli impatti di una crisi da panico. Ma ha un problema altrettanto serio. La sua economia non cresce. E un contagio finanziario, anche ridotto, le può dare un gran fastidio. Viene da chiedersi, a questo punto, se una dose di pragmatismo non sarebbe necessaria anche da queste parti.

Non si tratta di abbandonare la regola aurea che prescrive la salute dei bilanci pubblici, così come negli Usa non si è abbandonata la fede nel mercato, ma forse sarebbe il caso di mettere i governi nelle condizioni di adottare politiche anticicliche. Permettere ai cittadini di avere più quattrini in tasca attraverso massicce riduzioni fiscali. Anche a scapito, temporaneo, delle ferree regole del patto di stabilità.
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