Folle Italia, il Paese che tiene segreti i tesori

Dopo il caso dei Bronzi di Riace, si contesta anche lo spostamento dei Giganti di Mont'e Prama: colossi nuragici "Nascosti" a Sassari che nessuno conosce. Portarli fuori dall'isola sarebbe il modo migliore per farne parlare. Anche all'estero

Folle Italia, il Paese che tiene segreti i tesori

Questa, poi! Il Pili parla. Un bravo ragazzo sardo che vede la sua remota fama per essere stato, per qualche tempo, presidente della Regione, confondendola, per altro, con la Lombardia, in un memorabile discorso in cui si confondevano provincie, laghi e confini dell’una con quelli dell’altra. Oggi diventato Sardista. Esposto per qualche tempo a Roma, Mauro Pili ritorna in Sardegna e vive di rendita grazie a questa esposizione. Acquattato nell’isola si erano perse di lui tutte le tracce fino a oggi, quando, su Repubblica, si è letto che, in concorso con Cristiano Carrus sindaco di Cabras, ha posto un insensato veto al trasferimento dei suoi «progenitori» a Pechino e altrove, proposto dal direttore generale della Valorizzazione del ministero dei Beni culturali, Mario Resca.
Si tratta dei cosiddetti giganti di Mont’e Prama, colossi di età nuragica, rinvenuti in Sardegna nel territorio di Cabras negli anni ’70, e mai visti da nessuno se non dai restauratori e dai sovrintendenti che li hanno trasferiti nel laboratorio di Li Punti a Sassari. Il primo ritrovamento avvenne nel ’74 altre campagne di scavo furono fatte nel ’75 e nel ’79. Il restauro iniziato nel 2007 è ancora in corso, con straordinari risultati: dai 5200 frammenti sono state ricomposte 37 sculture tra cui 15 pugilatori, otto arcieri, due guerrieri, 12 modelli di nuraghi monotorre e polilobati.
Oltre 2mila frammenti non sono tecnicamente riassemblabili. È evidente che si tratta di una scoperta formidabile anche per la datazione molto alta, fra il X e l’VIII secolo a.C. Gli antenati di Pili io li vidi e ne diedi notizia nel 2001 a l’allora sovrintendente del Mare Francesco Nicosia, grande studioso che fu anche il primo a presentare al pubblico a Firenze, nel 1980, i Bronzi di Riace. Certamente lui, competente ed esperto appassionato, non avrebbe avuto nulla in contrario ad esporli nei grandi musei del mondo, in Oriente e in Occidente. D’altra parte i cinesi non hanno avuto problemi a far girare il loro fragile e grandioso esercito di terracotta: finito il tour, carico di glorie e di onori, è tornato a casa. Sembra invece che in Calabria e in Sardegna, facciano a gara per mortificare e nascondere, in un modo o nell0altro, il loro patrimonio culturale come se fosse una sottrazione o un furto.
In un’interrogazione al ministro Sandro Bondi, Pili improvvisamente ridestato dall’intelligente curiosità e dal desiderio di collaborare di Mario Resca, proclama: «I giganti di Mont’e Prama devono tornare alla loro terra d’origine. Si tratta di una scelta obbligata, razionale e culturalmente doverosa. Collocare quelle statue fuori dal proprio contesto paesaggistico, storico-archeologico, significherebbe violare il fascino e lo stesso valore di quell’immenso patrimonio che il Sinis ha restituito alla Sardegna. Non riesco nemmeno a immaginare la collocazione di quelle statue fuori dal territorio di Cabras, proprio perché si tratta del contesto naturale dove valorizzarle una volta restaurate».
Bondi, colpito e turbato, lo rassicura. Dopo aver premesso che i giganti di Mont’e Prama devono restare in Sardegna, «divenendo un punto di riferimento per il turismo italiano e internazionale», Bondi, nel generale gaudio sardo, e con il dispetto di Resca, stabilisce che «ogni eventuale esposizione fuori dal loro contesto dovrà essere autorizzata e decisa dalle autorità locali». Forse un eccesso di federalismo, il riconoscimento della tanto agognata autonomia sarda. Ma l’autonomia è una cosa e l’insensatezza un’altra. Resca ha ragione e neanche lui sa quanto, tanto che davanti alla decisione di Bondi, dichiara: «Obbedisco, ubi maior minor cessat». Non c’è maior e minor (e semmai, etimologicamente, minor è il ministro) semplicemente Bondi si è lasciato ingannare dal grido di dolore del duo Pili-Cabras con il coro di politici e capre locali. Sperare che, nell’indifferenza generale prima della lodevole irruzione di Resca, ci sia uno scatto di orgoglio locale favorisce soltanto campanilismi e contese locali. Esporre i giganti, fuori dall’isola, sarebbe il modo migliore per farne parlare, per stimolare curiosità, come accade per ogni mostra, nelle grandi capitali internazionali dell’arte. Il più grande museo di archeologia di tutto il mondo è a Londra, e il Louvre è un luogo universale. Cabras è nel Sinis, non lontana dall’importante sito archeologico di Tharros, ma difficilmente può competere con i grandi musei del mondo. I quali, per altro, non ambiscono a ospitare i giganti in modo definitivo ma per qualche mese, in un benefico tour promozionale per l’Italia e per la Sardegna. Era difficile pensare che una proposta così intelligente ottenesse una reazione così insensata. Allo stato i giganti sono invisibili. Non appartengono al patrimonio né sardo, né italiano né dell’umanità: sono «privati». Cioè: ne siamo privi. E lo saremo a lungo.
Per ironia della sorte, infatti, in barba ai richiami al «contesto» e al paesaggio del Sinis di Pili, la direttrice regionale della Sovrintendenza, Maria Assunta Lorrai (sarda), propone di sistemare i giganti nel complesso della cittadella dei musei di Cagliari, rinnovando gli spazi espositivi del museo nazionale. A Cagliari. Una dichiarazione di guerra, al cui confronto l’idea di un tour di mostre, da parte di Resca, appare una offerta generosa.

Devo credere che Pili non voglia i Giganti a Pechino e a New York, e li lasci andare a Cagliari? E allora dove va a finire l’appello, raccolto da Bondi, per Cabras e per il Sinis? E il famoso contesto?
Meglio la sana valorizzazione del candido Resca che è stato bastonato per «aver tolto una parte di polvere dai Bronzi di Riace e un po’ di terra che seppelliva ancora i Giganti» che, nelle sue intenzioni, «dovevano diventare il vessillo della Sardegna tutta» non di Cagliari. Lasciamolo lavorare, come direbbe il premier. Capito, Pili?

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