Francesco Pacifico. Sesso e potere (e posto di lavoro)

Inizia come una commedia americana, il nuovo romanzo di Francesco Pacifico Il capo

Francesco Pacifico. Sesso e potere (e posto di lavoro)
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Inizia come una commedia americana, il nuovo romanzo di Francesco Pacifico Il capo (Mondadori, pagg. 166, euro 18,50): la moglie non è in vacanza, stavolta, ma è comunque fuori città per lavoro. Il quarantenne protagonista - che porta lo stesso nome dell'autore - è dunque libero di passeggiare da solo per le vie di Roma, di recarsi in un locale dove suonano alcuni amici, di ballare fino a tardi. Di conoscere Gaia, una donna più giovane di lui, e di ruzzolare con lei per terra dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo. È, si vedrà, una pista falsa, Gaia preferisce le donne, ma in cambio della notte in bianco racconta a Francesco l'efferato tentativo di corruzione sessuale subìto ad opera della Fondazione, l'istituzione per la quale lavorava. La Fondazione, che riceve cospicui finanziamenti statali da usare per l'emancipazione dell'umanità, potrebbe spendere cinquemila euro per mandare un impiegato in Sudafrica affinché partecipi a un convegno sull'analfabetismo; e tuttavia è anche il tempio dell'ipocrisia, una sentina di raccomandati e una macchina celibe guidata dal «capo», un essere di sesso femminile al vertice di una banda dedita allo scambio di coppie i cui metodi contemplano il plagio e il ricatto.

Un giorno, Gaia viene invitata dal capo a raggiungere un resort in Alto Adige per un'esperienza di team-building preliminare all'assegnazione di un progetto importante. Giunta a destinazione, si accorge che il team non c'è. In compenso, quando entra nello chalet che le è stato assegnato, scorge le valigie e gli effetti personali di un uomo. È l'inizio di una serie di schermaglie, minacce di stupro, giochi pericolosi e colpi di scena. L'ospite indesiderato, ennesima emanazione pilotata dalla Fondazione, di cui è stato il Ragioniere, a prima vista rassomiglia a un vecchio raver, ma poche ore dopo vestirà i panni di un abile bartender impegnato ad arredare un bar Tiki, cioè ad allucinare la Polinesia in Sudtirolo. Per difendersi da lui, Gaia si tiene in costante contatto con la sua fidanzata e le sue amiche, registra ogni conversazione, comunica ogni spostamento. L'ossessione per la «traccia» fa sì che Il capo non sia solo un teatro di voci dissonanti: è, piuttosto, il luogo ipertestuale dove convivono sistemi simbolici diversi, ma non indipendenti; regimi parzialmente autonomi convergenti verso la nota scatola nera che per il solo fatto di esistere attira la catastrofe: il telefonino, panopticon portatile inventato dal diavolo affinché gli uomini non si sentano mai soli.

E a proposito di operazioni diaboliche: Il capo, sotto sotto, è una trappola per femministe stupide. «Non ti racconto la storia per fare giustizia», dice Gaia; e poi, dopo aver ribadito che il ruolo della vittima non fa per lei: «Non capisco come possa essere libera se non posso cacciarmi in una situazione».

Ha intuito che l'erotismo, cioè il piacere di essere asserviti, costringe a una dialettica fra libertà e sacrificio («offerta simbolica», la chiama Pacifico con un colpo di genio) molto distante dai frigidi slogan del #MeeToo.

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