Francesco Piccolo

A pagina 8 pensi: «questo è pazzo»: ama «il rumore delle stoviglie quando i baristi le scaraventano senza cura nel lavabo», una delle cose che ti danno più fastidio al mondo. A pagina 9 concordi con lui, che ha appena scritto: «Adesso, sono diventato stronzo e mi piace», nel senso che gode nel far alzare uno seduto al suo posto in treno, mostrandogli, sorridendo, il biglietto con la prenotazione: molti stronzi ti hanno fatto questo scherzetto, giusto un minuto prima della partenza. A pagina 16 pensi: «questo è scemo», perché dichiara che gli mette allegria quando l’amica con cui è uscito sorride leggendo gli sms degli altri. A pagina 17, invece, vorresti correre ad abbracciarlo dopo questa frase: «Lei ha una voce più naturale e disinvolta del solito, quindi capisci che non è né naturale né disinvolta». E a pagina 91 gli vuoi quasi bene, perché scrive: «Quando viene la febbre». E ti ricordi della «doppietta» che hai fatto 35 o magari anche 40 anni fa, scarlattina+morbillo (o viceversa) senza neppure un giorno di scuola in mezzo...
Li chiama, mettendoli in fila come tanti soldatini, Momenti di trascurabile felicità (Einaudi, pagg. 133, euro 12,50). Ma di trascurabile non c’è nulla, nel livre de chevet di Francesco Piccolo. «Celo, celo, manca, celo, manca», commenti in silenzio di fronte a questa enciclopedia portatile di tenerezze, cinismi, manie, smanie, paure, tic, cazzate, come se fossero le figurine Panini dei calciatori che scambiavi all’oratorio, prima e dopo la doppietta scarlattina+morbillo (o viceversa). La vita è questa roba qui: una catena di cose di nessun conto che però, messe insieme, diventano ciò che sei o che temi di essere. «Celo, celo, manca, celo, manca»: o sì o no, il piacere dell’onestà, della chiarezza, delle certezze.
La scarica elettrica del primo golf dell’inverno che arriva; la gratitudine verso chi ti ha tenuto la testa quando vomitavi (come se la testa dovesse finire nel cesso con tutto il tuo prodotto interno lordo...); il gesto obbligato di togliere il cetriolo dal cheeseburger (a proposito di vomito); il sollievo di quando finisce il rumore della centrifuga della lavatrice; la devozione per «qualsiasi film con Meryl Streep» (ecco, se si potesse fare a meno di Innamorarsi non sarebbe una cattiva idea: mentre tu, come Robert De Niro, trattenevi a stento le lacrime, nel lontano 1984, una certa lei mormorava, seduta al tuo fianco, fredda come un ghiacciolo: «ma quanti luoghi comuni!»). «Celo» o «manca», tertium non datur. Il «manca» che manca di più? «Tutte le persone che non sono belle, o che sono brutte, poi quando le conosci diventano più belle, sempre». No, no e poi no.

Il «celo» più «celo»? L’ultimo della serie: «Se c’è un luogo dove ci si annoia più di ogni altro, è dal fioraio, aspettando che ti confezioni i fiori». Fiori che, ovviamente, non hai mai regalato a quella con la quale hai visto Innamorarsi.

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