In questa difficile emergenza occorre tornare a principi certi del diritto per la tutela del patrimonio artistico e del paesaggio, per i quali i più recenti testi di riferimento dovrebbero fornire gli strumenti per un efficace contrasto delle prepotenze concettuali, sotto forma di provvedimenti legislativi suggeriti da pseudoassociazioni culturali che sostengono le speculazioni economiche con la copertura di una cultura Green, che conduce a queste conclusioni: «È innegabile che la diffusione degli impianti per produrre energia da fonti rinnovabili, in linea con gli obiettivi di de-carbonizzazione, inciderà sui nostri territori, trasformando i paesaggi. La sfida che si pone è quella di non restare osservatori passivi della rivoluzione in atto, ma di governarla e orientarla con la più formidabile dotazione di competenze di cui saremo capaci come sistema-Paese. Coniugare gli obiettivi della transizione energetica con la lungimiranza nella pianificazione paesaggistica e la qualità della progettazione è quindi la sfida cruciale del prossimo futuro».
È la sorprendente posizione di alcune associazioni ambientaliste, tra cui il Fai, secondo cui «impianti eolici e fotovoltaici possono convivere con il Paesaggio italiano».
L'Italia non è solo i suoi monumenti, ma anche il suo paesaggio, è doveroso stare dalla parte dei valorosi Soprintendenti che, in trincea, difendono l'Italia dagli speculatori e dalla mafia responsabili del «sacco del paesaggio» in Sicilia, Puglia, Calabria e Basilicata, garantendo loro i necessari strumenti legislativi.
La situazione è drammatica ed esplicita: intercettato in carcere, e utilmente, Totò Riina, nella stessa occasione in cui minacciò il Pm Di Matteo, che per questo fu immediatamente dotato di super scorta, disse chiaramente che l'affare di Matteo Messina Denaro in Sicilia, cioè del presunto attuale capo della mafia, a Castelvetrano, Mazara del Vallo, Salemi, Alcamo e Marsala, erano «i pali eolici», affermando quel nesso tra la mafia e l'eolico e il fotovoltaico, documentato dal sequestro all'imprenditore di Alcamo Vito Nicastri di 1 miliardo e 600 milioni di euro, per la funzione di «semplificatore» e sviluppatore degli impianti.
Preso atto che il 65 per cento degli edifici costruiti in Italia, e anche intere aree industriali e periferiche, hanno meno di 70 anni non è difficile immaginarli rivestiti di pannelli fotovoltaici, risparmiando i campi agricoli che nessuno protegge, ricercati dagli speculatori per il loro inferiore valore economico.
I nemici del paesaggio vorrebbero mettere campi fotovoltaici in tutte le aree libere, anche a Venezia, ignorando Mestre e Marghera, e anche a Paestum e a Pompei, per «modernizzare il paese», e magari chiudere le fastidiose Soprintendenze.
Gli spazi contaminati sono più che sufficienti per l'energia rinnovabile, lasciando intatti i campi agricoli di quel mondo esaltato da Pasolini di cui si celebra il centenario con innumerevoli iniziative, tradendone però, nei fatti, il pensiero.
Una risposta normativa è in Diritto e gestione del patrimonio culturale di Antonio L. Tarasco, edito da Laterza.
Il volume, che descrive il disegno istituzionale e lo stato attuale della difesa del patrimonio culturale e del paesaggio, arricchisce la letteratura esistente, forte di una specifica esperienza dell'autore maturata nel settore e corredato da un'ampia presentazione sia di dati quantitativi sia di elementi legislativi. Arriva inoltre mentre è in atto il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) con un flusso largo di risorse superiori ai 4 miliardi di euro relativi alla Missione I Componente III destinati ai settori «patrimonio culturale per la prossima generazione», «piccoli siti culturali», «industria culturale e creativa».
Ma non si dimentichino la visione d'assieme e lo sfondo di maggior respiro. Al processo di allocazione finanziaria del Piano fa riscontro il rilancio della funzione di centro di erogazione, di programmazione e di valutazione del Ministero della cultura. D'altronde un'amministrazione orientata all'efficienza corrisponde sia agli impieghi specifici del Pnrr sia alle esigenze generali del sistema economico italiano, così da cooperare pro quota ad elevarne il potenziale di crescita e la capacità competitiva.
In un contesto di numerose tessere da comporre, questo contributo percorre una strada con snodi molto chiari. Supera la separazione tra quadro giuridico e dinamica economico-gestionale dei processi, avvicina tra loro i relativi blocchi disciplinari sottesi di cui concorre a riformulare le tradizionali linee di divisione. Il libro è altresì ricco di dati, senza «cullarsi» in un'elencazione sterile di cifre che rischierebbe solo di verniciare di rigore scientifico l'ordine del discorso. Si sofferma pertanto sulla capacità ordinatoria dei sistemi di regole, sui compiti e le responsabilità dell'alta amministrazione, si àncora all'esperienza concreta con esempi e richiami puntuali agli istituti più avanzati (in particolare il partenariato pubblico-privato), guarda oltre confine e ricostruisce il profilo di quei modelli gestionali (francese, anglosassone) che appaiono di massima evidenza come fattori di modernizzazione del settore.
Sulla base quindi di un approccio che riconosce la complessità del terreno di indagine, il volume evita anche di arenarsi sulle secche della sterile contrapposizione tra valori collettivi (cultura) e il fascio degli interessi economici e materiali in gioco. Un taglio che non sorprende, essendo a tutti gli effetti il patrimonio culturale del Paese una entità da comprendersi all'interno del circuito economico-produttivo nazionale. Certo agli artt. 3 e 6 del Codice vigente, tutela e valorizzazione costituiscono due categorie diversificate, sicché la fruizione rappresenta un elemento teleologico esterno alla tutela. Tuttavia, da un punto di vista sostanziale in precisi ambiti come il restauro o la circolazione internazionale dei beni culturali, tutela e valorizzazione tendono a fondere i loro orizzonti, fermo restando che il nucleo fondamentale della politica dei beni culturali è costituito dalla garanzia dell'integrità del bene. Fin dalla sua nascita infatti l'impianto dell'amministrazione dei beni culturali incorporata presso il Ministero della pubblica istruzione metteva in risalto componenti prevalentemente «di conservazione». Una filosofia progettuale innegabile, un pattern frutto di sedimentazioni di lunghissima durata su cui impegnarsi a fondo e che deve continuare a riverberarsi sul presente ed essere sempre con noi. Non necessariamente cioè occorre aderire ai dubbi, stare nelle incertezze senza essere impazienti di pervenire a fatti e ragioni. Viceversa è possibile contare sulle tracce preesistenti, stare sui sentieri già segnati, anziché essere costretti a decifrare ed esplorare di volta in volta i «materiali del bosco».
Una scelta obbligata infine lo spazio apposito dedicato al paesaggio, per ragioni di ordine sia formale sia sostanziale, a cominciare dalla disciplina che per ragioni «diacroniche» si radica nel Codice Urbani del 2004 e tiene insieme beni culturali e paesaggio. Soprattutto a valle della recente riforma dell'art. 9 della Costituzione, l'ambiente assume formalmente rango primario e pone così un problema di coordinamento con il paesaggio. Ma non determina la tirannia dell'interesse ambientale rispetto alla cura del paesaggio.
Semmai scolpisce la tutela delle matrici ambientali in quanto valore già presente nella giurisprudenza costituzionale, amministrativa e ordinaria del Paese, senza con questo operare un braccio di ferro tra un diritto e l'altro o l'imposizione di un diritto sull'altro. Sarebbe contrario allo stesso spirito e alla lettera della Carta costituzionale. Stravolta ora da Legambiente e dal Fai. Combatteremo anche con la collaborazione legislativa di Tarasco.
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