Funerali senza gente? Parroco ingaggia la claque

Ci sono domande cui non è possibile rispondere. Per esempio: è più triste il funerale con quattro gatti o quello seguito da una gran folla? Cioè: pesa di più la sofferenza di pochi o allevia di più la partecipazione di molti? Se lo sarà posto, questo interrogativo, don Marcello Colcelli, parroco di Sant’Egidio all’Orciolaia, in provincia di Arezzo. Però lui, uomo di Chiesa, compiendo il salto logico dalla spiritualità alla razionalità, una risposta se l’è data: e ha scelto la busta numero 2, quella più grande, quella che si appella alla consolazione condivisa, ecumenica.
Il rovello di don Marcello è comune a molti preti di oggi: la scarsa partecipazione dei fedeli alla vita religiosa. La gente è distratta da mille cose, le insegue e ne viene inseguita e in questa corsa si allontana da Dio e dagli uomini. La società è sempre meno comunità, in ogni atto, dal battesimo fino all’ultimo saluto. Ma almeno il battesimo è gioia, mentre l’ultimo saluto è soltanto dolore. E soprattutto c’è la solitudine dei numeri zero, quelli rimasti soli al mondo, vecchi e abbandonati. Anche loro, si sarà detto don Marcello, meritano un po’ di compagnia, prima dell’ultimo viaggio.
«Per garantire una dignitosa celebrazione delle esequie cristiane», ecco la formula che giustifica la sua singolare iniziativa che ha anche un «titolo». Un titolo strano, quasi da romanzo noir: «La compagnia dei defunti». Per contrastare la mesta consuetudine dei funerali deserti, padre Marcello si è rivolto con una lettera aperta ai propri parrocchiani invitandoli a compiere, se non l’atto di contrizione, almeno quello di presenza. «Tra i precetti della chiesa - dice - c’è quello di seppellire i morti, e non ci si riferisce semplicemente a seppellirli, ma all’impegno e alla cura che la comunità cristiana deve porre nell’accompagnare verso l’ultima dimora quelli che conosce come membri della stessa comunità parrocchiale». Non posso far tutto da solo, lamenta il parroco toscano: sacrestano, lettore, cantore. Se non mi date una mano le cose si mettono male. Cantare e portare la croce è dura, cari signori. E allora, ecco la proposta, sotto forma di uno «statuto» che impegna i fedeli, fra l’altro, ad accompagnare i compaesani fin sulla soglia del mondo dei più. La quota di adesione alla «compagnia» è bassa, irrisoria: due euro. La quota di impegno non è di molto superiore: letture liturgiche, raccolta delle offerte, preparazione dell’incenso... Ciò che conta è partecipare, esserci.
Non faremo peccato se penseremo che, in fondo, si parla anche a suocera perché nuora intenda, che il messaggio nella bottiglia lanciato tra i flutti delle coscienze vuole arrivare alla Chiesa con la «C» maiuscola, deve arrivare a Roma. E i primi ad aderire all’iniziativa, nell’attesa che il gregge cresca di numero quando tutti saranno rientrati dalle ferie, rappresentano già un buon viatico. Insomma, don Colcelli ha lanciato il sasso ma non vuole nascondere la mano, se mai porgere l’altra guancia a chi si farà beffe della sua iniziativa. «Non ho la pretesa che sia una grande idea - conclude -. Se non verrà accettata me ne farò una ragione».


Comunque vada, questa non è soltanto una storia strapaesana che riguarda quattromila anime. È un interrogativo che chiama in causa il senso del vivere e del morire, e molte altre domande cui non è possibile dare risposta, ma soltanto eludere mettendole fra le parentesi tonde della pietà.

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