Fuori pericolo la giovane ucraina rapinata: «Ma ora ho paura e voglio tornare a casa»

«Adesso abbiamo paura. E vogliamo andarcene da questa città e dall’Italia...Anche mia figlia stamattina, quando si è risvegliata nel reparto rianimazione del Policlinico, me l’ha detto. “Mamma, per i due soldi che guadagniamo da queste parti, dopo quello che mi è successo, è meglio che ce ne torniamo in Ucraina”. E ha ragione lei, sa? Volevo far venire qui anche l’altra mia figlia, che ha 16 anni, ma dopo quanto è accaduto a Marta...».
Piange la signora Alessia, 49 anni, ucraina, da nove anni in Italia, di professione donna tuttofare in uno studio legale milanese e madre di Marta, la studentessa 22enne aggredita sabato mattina alle 7, dopo essere uscita di casa, al Corvetto, da un nordafricano. Che, per scipparle la borsetta, l’ha picchiata in testa con il manico di un cacciavite ed è scappato solo quando un vicino di casa della giovane e alcuni passanti si sono mossi in soccorso della ragazza, minacciandolo e chiamando la polizia. Marta, ricoverata in terapia intensiva al Policlinico con una brutta abrasione al cuoio capelluto, vari ematomi e un taglio all’occhio destro, non ha mai perso conoscenza e ieri mattina stava molto meglio. Tanto che, i medici, la stavano già trasferendo in un altro reparto.
Intanto, mentre gli investigatori della squadra mobile sostengono di avere «buone possibilità» di catturare il suo aggressore, la giovane, parlando con la madre ieri mattina, sostiene di non essere sicura che il nordafricano volesse solo rapinarla. Almeno all’inizio.
«Mia figlia, che è venuta a Milano da tre anni, frequenta la facoltà di economia e commercio alla Statale e lavora part time in una ditta di pulizie perché l’anno prossimo, oltre a laurearsi, vorrebbe anche sposare il suo fidanzato e comprarsi una casa - racconta la madre -, è convinta che il suo aggressore volesse abusare di lei. Quell’uomo, secondo il suo racconto, l’ha raggiunta per strada all’improvviso e lei, atterrita dal suo atteggiamento aggressivo, dal modo in cui l’ha visto avvicinarsi, ha cominciato a gridare. Lui, dopo averle intimato di stare zitta, ha tirato fuori il cacciavite e ha iniziato a picchiarla, usando il manico dell’attrezzo. Lei lo ha morso, mentre quel nordafricano non ha mai smesso di percuoterla. Solo quando un vicino di casa l’ha apostrofato “bastardo” dalla finestra per farlo smettere, il magrebino ha capito che non era più aria, che doveva assolutamente scappare e allora, per la prima volta, ha afferrato la borsetta di Marta. E mia figlia insiste proprio su questo particolare: solo a quel punto, prima di allontanarsi, quell’uomo si è preoccupato di strapparle la borsa. Come se non gli restasse altro da fare».
La borsetta di Marta è stata trovata (insieme al cacciavite usato dal nordafricano) poco lontano dal luogo dell’aggressione. Naturalmente vuota, se si eccettua qualche oggetto personale di nessun valore.


«Ma non scriva dove abitiamo e il nostro cognome - c’implora prima di salutarci la signora Alessia, sempre in lacrime -: io, di questi nordafricani, ho una paura pazzesca. Chi me lo garantisce che quel tipo non torni per vendicarsi?».

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