FUTURISMO Rivoluzione alla romagnola

Gli eclettici Ginna e Corra, il «non ortodosso» Castellani, il lirico Dal Monte. A San Marino Città una mostra dedicata agli artisti lanciati dal nume tutelare Boccioni

FUTURISMO Rivoluzione alla romagnola

Il futurismo, a trent’anni dalla sua riscoperta per merito di alcuni pionieri pronti a battersi contro tanti sbarramenti ideologici, è sempre più oggetto dell’interesse del pubblico, oltre che della critica. Lo rivela il moltiplicarsi di mostre, la maggior parte delle quali portano alla luce artisti dimenticati e opere spesso sorprendenti. «Romagna futurista», curata da Beatrice Buscaroli Fabbri con la collaborazione di Alessandro Ortenzi e visibile fino al 18 giugno nel rinnovato Museo San Francesco della Città di San Marino, è una preziosa riscoperta del nostro futurismo in un’ottica regionale, ma non regionalistica. Lo dimostra il rilievo che ha nella mostra Umberto Boccioni, nato sì a Reggio Calabria ma subito trasferitosi in Romagna, dove è cresciuto. Palazzeschi, che fu suo amico e compagno di battaglie futuriste, lo descrive come un «purosangue romagnolo, vulcanico, esplosivo, e al tempo stesso incapace di rancore, di nutrire risentimento per chicchessia qualunque cosa gli avesse fatto».
Fu lui, come sottolinea assai bene la Buscaroli, il nume tutelare in Romagna del futurismo, anche se un ruolo non minore ebbe il fondatore del movimento, sempre presente all’inaugurazione di mostre, a conferenze e manifestazioni. Fu, d’altra parte, Marinetti a scoprire Francesco Balilla Pratella, il musicista futurista, la cui casa di Lugo, soprattutto dopo la precoce morte di Boccioni, diventerà il centro propulsore del futurismo romagnolo. Un futurismo, quest’ultimo, che darà al movimento nazionale personalità di rilievo come Arnaldo Ginanni Corradini e il fratello Bruno, battezzati futuristicamente «Ginna e Corra» da Balla, il poeta Francesco Meriano, Leonardo Castellani, Mario Guido Dal Monte. Ma anche Leo Longanesi aderì per alcuni anni al futurismo.
Il ritratto che esce dalla mostra è quello di un futurismo che non diventò mai, come nota Alessandro Ortenzi nel bel catalogo edito da Silvana, scuola o accademia, come del resto aveva sempre voluto Marinetti. La mostra sammarinese ha il merito di darci un quadro completo del futurismo romagnolo partendo da Boccioni e Balla, senza trascurare Marinetti, autore di un piatto in maiolica policroma. Se Boccioni è, però, presente con un solo capolavoro, la tavola per la copertina del volume Musica futurista di Balilla Pratella (una tempera e inchiostro su carta del 1912), Balla è proposto sia come pittore, autore ad esempio di un raffinato olio come Siamo in quattro - beato chi li trova, sia come ceramista, con opere dove brillano il suo estro e la sua ironia.
Una vera rivelazione, soprattutto per il pubblico (gli addetti ai lavori li conoscevano) sono Corra e soprattutto Ginna, personalità eclettiche, in grado di passare dalla pittura al cinema, dal teatro alla saggistica e alla narrativa. Autori nel 1910 dell’Arte dell’avvenire, che propone una teoria dell’avanguardia, suscitano l’interesse di Marinetti, anche se Corra e Ginna preferiscono gli «stati d’animo» al dinamismo dei corpi nello spazio, fondamentale per i futuristi in quel momento. Certo è che Boccioni e Balla, coinvolti da certe sottolineature occultiste, ne sono influenzati in alcuni quadri. Come pittori, Corra e Ginna sono più vicini all’astrattismo che al futurismo, come scrisse a Ginna il gallerista futurista Sprovieri, citando addirittura Archipenko e Kandinskij.
Un’altra figura rivelata dalla mostra è quella di Leonardo Castellani, al quale Tiziana Mattioli, già curatrice dei suoi scritti futuristi, dedica uno splendido saggio. Castellani, futurista «non ortodosso», come lui stesso si definisce, è autore di capolavori come Il violinista mancino del 1919, in cui la simultaneità si compenetra con le linee-forza, e come Donna alla fonte dello stesso anno, sintesi di futurismo e di simbolismo. Come ceramista, Castellani anticipa la stagione futurista di Albisola con opere originali nel coniugare dinamismo futurista e raffinati motivi decorativi.
In una mostra così ricca di scoperte è difficile dar conto di tutti gli artisti proposti, ma è impossibile ignorare la personalità di Mario Guido Dal Monte, nato futurista con opere del livello di Motociclista del 1927 e di Treno di notte del 1928, ma poi approdato a un lirismo romagnolo che aveva molti punti di contatto con il novecentismo, avversato da Marinetti.

Anche le sue maioliche policrome sono frutto di un talento che aveva respirato l’aria di una grande, irripetibile stagione culturale.
LA MOSTRA
Romagna futurista
Museo San Francesco, San Marino Città. Fino al 18 giugno.

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