Il G8 difende Israele e chiede i caschi blu

Marcello Foa

nostro inviato

a San Pietroburgo

Per una volta sono contenti tutti: Bush, Chirac, Putin. Nell’arco di solo 24 ore gli Otto Grandi superano le divisioni e lanciano un messaggio forte per porre fine alla violenza in Libano. Il G8, riunito a San Pietroburgo, non si limita a chiedere un cessate il fuoco, ma pretende una soluzione duratura nella regione. Il documento viene approvato all’ora di cena ed è firmato da tutti: per una volta il mondo è unito. Ed è quasi inutile chiedersi chi abbia vinto. Il testo è equo, incisivo, credibile. Gli Usa restano fedeli alla loro linea. Bush aveva addossato agli Hezbollah la responsabilità della crisi e la dichiarazione sin dalle prime righe condanna con durezza «gli estremisti che hanno destabilizzato la regione». Gli europei e Putin avevano giudicato sproporzionata la reazione israeliana, e il comunicato invita lo Stato ebraico «alla moderazione, a scongiurare vittime innocenti e a non danneggiare le infrastrutture civili», lo sollecita «ad astenersi dalle azioni che possano destabilizzare il governo libanese». Unanimità ed equilibrio anche nella ricerca di rimedi concreti.
I leader degli otto Paesi più industrializzati rivalutano il ruolo dell’Onu e offrono pieno sostegno alla missione appena inviata in Medio Oriente da Kofi Annan. Poi invocano con perentorietà, come peraltro aveva chiesto l’America, il pieno rispetto della Risoluzione 1559 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, quella che prevede il disarmo di tutte le milizie in Libano e che proprio gli Hezbollah finora si erano rifiutati di applicare, creando di fatto uno Stato nello Stato. La sovranità del governo libanese finiva dove iniziavano le zone sotto il controllo del Partito di Dio, nel sud del Paese. Una situazione che non sarà più tollerata.
Già, ma come ripristinare l’ordine e la sicurezza? Il G8 indica quattro priorità: il rilascio dei soldati israeliani rapiti, la fine del lancio di razzi sul territorio dello Stato ebraico, la fine delle operazioni militari di Israele accompagnate da un sollecito ritiro da Gaza, il rilascio dei parlamentari e dei ministri palestinesi arrestati. Tutto ciò al più presto, mentre a medio termine l’obiettivo è di rilanciare il processo di pace tra israeliani e palestinesi che, come ha osservato il presidente francese Chirac, «sembrava sul punto di ripartire prima degli attacchi di Hamas e degli Hezbollah». Basterà il messaggio degli Otto Grandi a indurre tutti alla ragionevolezza? Nessuno ieri, a San Pietroburgo, osava fare pronostici. È verosimile che la violenza non cessi subito: gli Hezbollah e i due Paesi che li sostengono, l’Iran e la Siria, hanno interesse a dimostrare l’inefficacia dei moniti del G8. Ma anche se inizialmente inascoltato, il messaggio è fondamentale per ripristinare la credibilità delle grandi potenze.
Arrivando in Russia George Bush aveva lasciato intendere di aver abbandonato la «politica del cow-boy». Dai colloqui bilaterali con Putin, venerdì sera e sabato mattina, si era già capito che il presidente americano non bluffava; ieri ha dimostrato la serietà delle sue intenzioni. Seppelliti i dissapori sulla guerra in Irak, riconosciuta l’impossibilità di imporre la democrazia in Medio Oriente, Washington riscopre le virtù della concertazione e del dialogo con gli alleati. Un atteggiamento che è destinato a produrre risultati inaspettati anche sugli altri dossier caldi dell’attualità internazionale, a cominciare dalla questione del nucleare iraniano. Ieri mattina il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha confermato che Mosca sta progressivamente avvicinandosi all’Occidente. Non ha avuto remore nell’esternare la sua delusione nei confronti del presidente iraniano Ahmadinejad, che non ha mantenuto le promesse fatte a Putin. E si è rifiutato di escludere sanzioni contro il regime degli ayatollah. Sono piccoli passi, ma in una sola direzione.


Ieri sera tutti i leader erano soddisfatti, a cominciare da Bush, da Putin e dalla Merkel che ancora una volta ha dimostrato le sue capacità di mediazione. Dal vertice di San Pietroburgo può nascere una nuova armonia tra i Grandi del pianeta.

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