Dalle valigie di cartone a Palacio: ecco l’Argentina che parla zeneise

Dalle valigie di cartone a Palacio: ecco l’Argentina che parla zeneise

(...) Non è «colpa» di Giorgio Guerello, uno dei reggenti della Fondazione, che fa da cicerone. La voce che ti rapisce è quella di Marco Cappello, la musica quella di Attilio Margutti. Insomma, è il Ma se ghe penso che ti trascina nel viaggio organizzato nella mostra «Genova, il Genoa e l’Argentina», che aprirà oggi fino al 4 luglio.
Un viaggio naturalmente a tinte rossoblù, ma che di fatto usa solo il calcio per spiegare quanto due terre così lontane siano in realtà vicinissime. Unite dagli uomini che le hanno amate entrambe, unite dalla stessa musica che passava da un continente all’altro facendo le fortune di chi usava uno spartito e tanta passione per mitigare la malinconia degli emigranti. Ecco che insieme al testo della più nota canzone genovese, in bella mostra ci sono gli articoli su Pasquale Taraffo, il «Paganini della chitarra», il primo musicista europeo a vantare una pubblicazione discografica di tutto rispetto. Taraffo, che magari per molti era un nome sconosciuto e insignificante su una targa stradale a Sestri Ponente. Come magari ignoto a tanti che lo «vedono» ogni giorno è Manuel Belgrano, di professione generale. La sua statua equestre campeggia in piazza Tommaseo. Perché? Perché quel monumento è stato donato nel 1927 ai genovesi in segno di riconoscenza e realizzato con il ferro dei cannoni della guerra per l’indipendenza argentina.
Piccoli pezzi di storia in comune, che partono o arrivano inevitabilmente nello storico quartiere della Boca a Buenos Aires. Lì, dove Oreste Liberti, genovese, ha fondato il corpo dei pompieri volontari. Lì, dove le case sono colorate come nei fumetti, con tinte strane. A volte assurde, finché non si scopre che magari un giallo canarino o un marrone ruggine sono stati usati sulle pareti solo perché avanzati da un’operazione di tinteggiatura delle navi. Chiaramente arrivare alla Boca significa finalmente arrivare a un pallone. Al calcio che parla sempre genovese anche al di là dell’Oceano. Perché genovesi erano i soci che fondarono nel 1901 il River Plate. Come genovesi erano quelli che quattro anni dopo, in Plaza Solis diedero vita al Boca Juniors chiamando un Baglietto a essere il primo presidente del club.
Perché ad esempio solo il Boca continui a vantare quel soprannome di «Xeneizes», resta piuttosto un mistero. L’unica certezza è invece che tra Boca e River non corre buon sangue. Il derby è il «superclásico», una sfida che supera qualsiasi immaginazione. La Fondazione non prende ovviamente parte, espone la maglia gialloblù di Martin Palermo come quella biancorossa di Andrés D’Alessandro, accomunate dalla fascia di capitano della nazionale argentina di Javier Zanetti.
Ovviamente poi trionfano le maglie rossoblù, quella da trasferta dell’anno 2010-12 (a strisce verticali biancazzurre) di Rodrigo Palacio. E quella ufficiale del Principe Diego Milito, «indossata» da un manichino. La storia degli argentini del Genoa passa ovviamente da altri grandissimi campioni, come Guillermo Stabile («el Filtrador») e Juan Carlos Verdeal. A entrambi è dedicata un’intera vetrina con immagini e oggetti dell’epoca. Ma nessun giocatore è stato dimenticato, neppure chi, come Federico Nieto, ha visto il campo solo per qualche minuto in Coppa Italia. Ad ognuno è dedicata quantomeno una fotografia. Hernan Crespo, Diego Milito e Mauro Boselli, tra quelle a colori, hanno le immagini più grandi. Ma sulla parete spicca anche un «petisso» Bruno Pesaola genoano, o il mister Benjamin Santos, vincitore della Coppa delle Alpi. Argentino fu anche un presidente, Juan Claudio Culiolo, sotto la cui guida arrivò la Coppa Italia della stagione 1936-37.
Storie di vita e di calcio che si confondono e che regalano aneddoti e curiosità. I curatori della mostra, da Bruno Lantieri a Giovanni Villani, fino al musicista Fabrizio Giudice, che si coccola la strana chitarra a 13 corde di Pasquale Taraffo, montata su un piedistallo il legno e realizzata dal liutaio Settimio Gazzi. Un pezzo unico che serve per la colonna sonora, in una traversata lunga quasi un secolo e mezzo. E che arriva ai giorni nostri, in cui la tradizione del calcio argentino si è tramandata forse con maggiore passione. La «Bombonera», lo stadio del Boca, è sempre un catino stracolmo di tifo caldissimo, che fa tremare per novanta minuti anche le gradinate. E a rimanerne affascinato è anche Franco Bollorino, che da un suo recente viaggio a Buenos Aires ha realizzato un video trasmesso nel corso della mostra. «Sono stato ospitato in tribuna d’onore da uno dei più importanti personaggi del club della Boca - racconta -. Sergio Brignardello, originario dell’entroterra chiavarese, è anche un genoano sfegatato. Va allo stadio con tutta la famiglia indossando la sciarpa gialloblù sopra la maglia del suo Grifo. La cosa che mi ha fatto impressione è che in tribuna d’onore i dirigenti cantano e tifano come degli ultrà per tutta la partita». Brignardello, per l’appunto, è un po’ più di un Vip, è il presidente dell’associazione dei 60.000 soci del Boca Juniors. Uno che decide l’elezione del presidente del club. E che ha un peso notevole anche in campo politico. Ma allo stadio diventano tutti supertifosi. «Ho conosciuto David Rosenfeld - prosegue Bollorino -. È un luminare della psichiatria a livello mondiale, uno dei nomi più noti del pianeta. Ma lui stesso mi ha confessato che ha due passioni alle quali non sa resistere: il tango e il Boca. È stato incredibile vederlo trasformarsi così».
Il calcio è ancora qualcosa di più passionale rispetto all’Italia. Entra nella società in tutto. All’interno della «Bombonera» c’è addirittura un ambulatorio medico all’avanguardia nel quale possono essere curati gratuitamente tutti i soci del club, ma anche i poveri del quartiere.

Alla fine del viaggio, riaprendo gli occhi, si scopre che in effetti Genova e l’Argentina sono tornate lontane. Perché chi è andato là, non si è fermato come ha fatto invece una città che dai suoi figli emigrai dovrebbe solo imparare.

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