«Se solo i candidati a sindaco lo capissero... Ma anche, più in generale, se lo capissero i politici: che la cultura è motore di sviluppo. Anche per Genova, soprattutto per Genova».
Allora lei, Vincenzo Spera, che di eventi culturali vive e ne organizza di sicuro richiamo da oltre trentanni, non ne salva nessuno, di questi politici e aspiranti amministratori pubblici?
«Un momento: non voglio passare per qualunquista. Un conto è dire che la cultura, in questa campagna elettorale, è stata relegata al rango di cenerentola nei programmi, un altro conto è affermare che non cè nessuna sensibilità da parte dei candidati. Diciamo meglio: lattenzione è stata focalizzata più su altri temi. E questo è un peccato, ed anche un grosso errore».
Tra i «peccatori», dunque, ci mette Marco Doria e Enrico Musso?
«Per entrambi, certo, in campagna elettorale, ha dominato lesigenza di trattare temi come le infrastrutture, loccupazione, la sicurezza. Ma mi fa piacere constatare che Musso ha dedicato un passaggio significativo alla cultura».
Vede che qualcosa di buono cera...
«In effetti, cè stato un momento, giorni fa, a De Ferrari, in cui Musso mi ha stupito. Molto favorevolmente. Si è soffermato sulle etnie presenti a Genova, e le ha definite in una prospettiva di arricchimento culturale qualora, ovviamente, fossero bene integrate nel tessuto sociale».
Se ne parla da tanti anni, e da altrettante amministrazioni comunali. Di sinistra.
«Ma senza risolvere la questione, se non trattando la questione come un problema, anziché come unopportunità. Enrico Musso, invece, gliene do atto volentieri, ne ha parlato mostrando una visione di autentico respiro culturale».
Una tesi affascinante che rischia di restare sulla carta?
«Il rischio cè, ma è anche giusto distinguere chi lha presa in considerazione, questa tesi, da chi non ne ha nemmeno fatto cenno a parole».
Se la sentirebbe, lei, allindomani del ballottaggio, di incalzare il sindaco su questi temi?
«Lo farei senzaltro nei confronti di Musso, che ha avuto il merito di dichiararsi per primo, ma lo farei ugualmente nei confronti di Doria. Anche perché, a suo tempo, anchio ho coltivato un sogno...».
Non mi dica: voleva fare il sindaco o lassessore?
«Io voglio continuare a fare il mio mestiere, che mi piace e che faccio, forse con qualche risultato, dal 1974: organizzare spettacoli, rassegne turistiche e culturali. Ma se qualcuno mi chiede consigli o suggerimenti, nellinteresse di Genova e dei genovesi, non mi tiro indietro di sicuro».
Sveliamo il sogno.
«Risale ai tempi della giunta Pericu, a seguito dellelaborazione del Piano regolatore sociale. Collaborai con entusiasmo con Giorgio Pescetto ai programmi di arricchimento socio-culturale della città che puntavano a superare lassistenza sociale estendendo lofferta di cultura alle categorie che ne erano escluse, emarginate».
Progetto ambizioso.
«Ma ancora attuabilissimo, se ci fosse la volontà politica. Lo rilancerei, in particolare a Musso, considerata la sua maggiore propensione ad attuarlo. Poi, forse ci vorrebbe un ministro degli Esteri di Genova per concretizzarlo».
Addirittura?
«Dovremmo aprirci allesterno e, contemporaneamente, valorizzare le risorse che dallesterno sono venute a Genova. Penso a ricreare qui gli ambienti socio-culturali delle varie etnie presenti in città: i turisti, i nostri ospiti sarebbero attratti dalle opportunità di incontro con tante culture straniere. Ecco come promuovere la tanto sbandierata vocazione turistica. Altro che container!».
Ce lha con il porto?
«Niente affatto. Sono appena tornato da un soggiorno di lavoro ad Amburgo. Lì il porto cè, ed è uno dei più trafficati dEuropa. Ma un importante operatore del settore mi ha detto: I contenitori non sono la nostra vera ricchezza, pensate che ad Amburgo ci sono cinque teatri che fanno music-hall».
Scommetto che le viene in mente il Carlo Felice.
«... che non può ospitare cantanti di musica leggera!».
Par di capire: nel futuro di Genova non ci sono soltanto industria e porto?
«Ci sono anche il turismo e il terziario, ci sono i servizi. E quindi cè anche la cultura. Ma non appannaggio di pochi. Così Genova può crescere e aprirsi al mondo».
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