Roberto Fabbri
Muammar Gheddafi torna a far sentire la sua voce allItalia dopo il brutto episodio dellassalto al nostro consolato a Bengasi lo scorso 17 febbraio e non è un bel sentire. Cè aria di ricatto, per dirla chiara, anche se dissimulato da alcune parole mielate: ma certe frasi sono fin troppo esplicite. Il colonnello, al potere a Tripoli dallormai lontano settembre 1969, ha concesso unintervista a «SkyTg24» nel corso della quale ha affermato che «cè da aspettarsi altre Bengasi o anche attentati in Italia». E aggiunge, sibillino, un «purtroppo».
Gheddafi ha però assicurato che la dirigenza della Libia «non vuole ostilità con lItalia: sarà possibile voltare pagina dopo che sarà avvenuto il risarcimento concordato». Il riferimento (non esplicito, questo) è allautostrada litoranea di quasi duemila chilometri che Gheddafi pretende gratuitamente dallItalia per considerare chiuso, a più di sessantanni dal ritiro italiano dalla Quarta sponda, il capitolo dei contrasti tra Tripoli e Roma per loccupazione coloniale della Libia.
Legittimo, insomma, sentire puzza di ricatto, al quale il ministro degli Esteri Gianfranco Fini replica dicendo che «le intimidazioni e le minacce nemmeno troppo velate di Gheddafi non ci spaventano». Lo conferma luso, da parte del leader libico, di toni duri e minacciosi, gli stessi che aveva impiegato lo scorso 2 marzo in un pubblico comizio a Sirte, quando collegò lassalto al consolato di Bengasi non al sentimento religioso popolare ferito dallormai celebre maglietta del ministro Calderoli, ma alla collera mai sopita dei libici verso gli italiani colonialisti. «Noi speravamo che non avvenisse linvasione aggressiva dellItalia al nostro Paese nel passato - ha detto Gheddafi a SkyTg24 -. È lItalia di allora che è responsabile di quello che è accaduto».
Poi il colonnello ha gettato lamo e reiterato la sua pretesa. «Noi auspichiamo che ci sia un rapporto damicizia. Se non ci tenessimo avremmo lasciato che le cose andassero come prima. I nostri servizi di sicurezza hanno perfino esagerato nella protezione del consolato italiano: hanno ucciso anche dei cittadini libici e questo spiega quanta rabbia sia ancora presente. Alle manifestazioni non hanno partecipato estremisti, ma cittadini comuni che esprimono ciò che hanno nel petto. Ma lentità del risarcimento è già stata concordata - ha detto Gheddafi -: noi auspichiamo di arrivare a quellobiettivo, o i problemi rimarrebbero in piedi. Sta allItalia prendere liniziativa».
Gheddafi ribadisce poi che lItalia dovrebbe a suo avviso riconoscere il suo passato coloniale in Libia, unico modo perché tra i due Paesi tornino «pace e collaborazione». Obiettivo della Libia, ha ripetuto, resta quello di «costruire rapporti non aggressivi ma amichevoli: tra i due popoli infatti non cè inimicizia, perché non fummo invasi dal popolo italiano ma dal suo governo di allora». Infine, ha promesso di collaborare in futuro con il governo italiano, «qualunque esso sia».
Unautostrada in cambio della tranquillità, dunque. Il ministro Fini, respinte le intimidazioni, ha ribadito che «abbiamo detto di voler lasciare alle spalle il retaggio coloniale nei rapporti italo-libici e questa posizione manteniamo con trasparenza». Gli scenari inquietanti preannunciati da Gheddafi, ha aggiunto il capo della Farnesina, «contrastano con la volontà di migliorare i tradizionali rapporti di amicizia italo-libici». Parole simili a quelle pronunciate da Franco Frattini, suo predecessore e vicepresidente della Commissione Ue, che sottolinea le contraddizioni di Gheddafi: «LItalia continua a essere disponibile a un segno importante di amicizia verso la Libia». Le ultime affermazioni del colonnello «contraddirebbero le sue stesse dichiarazioni quando parla dellItalia come partner e Paese amico».
E mentre il presidente della Commissione Esteri Gustavo Selva si chiede se Gheddafi abbia fatto avvertire i nostri servizi segreti di ciò che sa sui possibili attentati in Italia, per il verde Paolo Cento il nostro Paese dovrebbe «riconoscere il passato coloniale: la destra vuole cancellare le responsabilità storiche del colonialismo fascista».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.