Il giallo di una fondazione fantasma nella guerra (tra ex) sul tesoro di An

Boia chi molla il tesoretto di An. Nella guerra fratricida fra vecchi amici e antichi camerati si apre un nuovo fronte a margine della battaglia giudiziaria per la gestione del ricco patrimonio dell’ex partito di Fini (nella foto). Un ex aennino ed ex finiano come il deputato Antonio Buonfiglio, già promotore di istanze per invitare il presidente del Tribunale di Roma a vigilare sull’eredità di via della Scrofa, va nuovamente all’attacco: «La tanto sbandierata Fondazione di An dove sarebbero dovuti confluire i 55 milioni, non esiste. O meglio esiste solo sulla carta. È una sorta di associazione politica, identica a quella che ha gestito il patrimonio sin qui. Tale e quale poiché non è mai stata avviata formalmente la pratica per il riconoscimento quale fondazione. Sarebbe dunque interessante capire su quali conti correnti sono finiti tutte quelle decine di milioni di euro». Sbotta la controparte, rappresentata dal senatore lealista Franco Mugnai, già presidente del comitato di gestione di An: «Non ne possiamo più di queste falsità. La Fondazione c’è, esiste, e la pratica per il riconoscimento è stata già avviata per posta dal notaio. I soldi sono sui conti correnti della Fondazione che abbiamo messo a disposizione dei commissari liquidatori. Non c’è un euro fuori posto. Basta!». Per la cronaca proprio sulla genesi della Fondazione la procura di Roma avrebbe avviato nei giorni scorsi specifici approfondimenti.
Capire l’oggetto del (nuovo) contendere non è facile. Occorre analizzare l’affondo dell’onorevole Buonfiglio. Che, in premessa, tiene a precisare di «non aver mai firmato alcun reclamo insieme alla segretaria di Fini avverso la sentenza sulla prima istanza al tribunale civile», reclamo poi respinto dalla corte d’appello. E che la decisione finale del presidente del tribunale accoglie in toto le sue richieste di controllo super partes del patrimonio da parte del Tribunale «sancendo che gli organi nominati dal congresso erano liquidatori, che dovevano fare una gestione conservativa, che avevano bisogno del tribunale come interlocutore e che a tutti gli effetti erano da considerarsi pubblici ufficiali. Non è vero che le due sentenze si contraddicono. La prima è il presupposto giuridico, e di fatto, della seconda che porterà poi al commissariamento». E se si è arrivati al commissariamento, incalza Buonfiglio, non sarà anche perché qualcosa non torna? La butta lì. «Mi piacerebbe che qualcuno si interrogasse sull’esistenza della Fondazione An». Cioè? «Scoprirebbe che non esiste. C’è un atto costitutivo del 17 novembre scorso, che poi è quello che ha dato il là ai noti problemi, ma a tutti gli effetti siamo di fronte a una Fondazione non riconosciuta che è tale e quale a un partito, che è un’associazione non riconosciuta. E se non è riconosciuta, se non è registrata, la Fondazione Ad non è una fondazione. Il dramma – continua Buonfiglio - è che non è stata avviata nemmeno la procedura base per il suo riconoscimento, che per legge deve avvenire entro 120 giorni dalla disposizione del Consiglio di amministrazione. Bastava quella. Non serve a niente andare dal notaio a ratificare la decisione del Cda se non vai al registro delle personalità giuridiche della prefettura e dici: avvio la pratica di riconoscimento della personalità giuridica della Fondazione. Hanno fatto un’associazione bis. Soprattutto se poi, per metterci una toppa, avessero “sanato” il tutto solo dopo l’arrivo dei commissari liquidatori. Io non penso che si siano rubati i soldi, voglio solo sapere dove sono finiti posto che la Fondazione ancora non esiste e l’Associazione non esiste più».
Allarga le braccia e scuote la testa il senatore Pdl Franco Mugnai, presidente del comitato di gestione del patrimonio di An. «Non ne posso davvero più di queste accuse. Non sanno più a cosa attaccarsi dopo essersi finalmente resi conto che le accuse sui 26 milioni di euro scomparsi sono una bufala gigantesca. Quanto alla Fondazione di An le cose stanno così: dal giorno del consiglio di amministrazione avevamo 120 giorni di tempo per formalizzare la costituzione, un atto formale, non sostanziale. Niente e nessuno ci metteva fretta, e la Fondazione già viveva di suo. Ma siccome qui si gioca coi cavilli allora scriva che il nostro notaio, che doveva compiere la pratica di riconoscimento entro quattro mesi dalla determinazione del consiglio, dunque non oltre il 17 marzo 2012, l’ha formalmente già inviata, con largo anticipo, a mezzo posta. Dov’è dunque lo scandalo? Nel frattempo la Fondazione esiste a tutti gli effetti perché l’atto costitutivo l’ha costituita. Poi, certo – conclude Mugnai - ci sarà il perfezionamento della pratica di riconoscimento della stessa ma insisto: dov’è il problema? I 55 milioni di cui si parla a vanvera come irrintracciabili sono in realtà rintracciabilissimi sui conti correnti della Fondazione.

Sono lì, non sono stati mai toccati da nessuno, li abbiamo messi a disposizione dei commissari liquidatori. Quando tutta questa storia sarà finita chi ci ha accusato ingiustamente pagherà caro questa campagna d’infamia».
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it

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