«Il Giornale» alla scoperta delle Repubbliche Baltiche

Le fortezze dei Cavalieri Teutonici, le cittadelle medioevali della Lega anseatica, ma anche uno dei centri del più puro barocco controriformista (Vilnius) e, secondo l’Unesco, la più bella città Jugendstil d’Europa: Riga. Il tutto in un territorio grande metà dell’Italia.
Estonia, Lettonia e Lituania, i tre Paesi baltici meta del prossimo viaggio del Giornale, sono uno dei gioielli meno conosciuti della civiltà europea. Un incrocio di storia e popoli in cui si riflette la molteplicità culturale del vecchio continente. A cominciare dalle lingue. L’estone appartiene al ceppo ugro-finnico, è fratello del finlandese e cugino dell’ungherese. Lettone e lituano sono le più antiche lingue indoeuropee sopravvissute, dirette parenti del sanscrito. Nei secoli il lituano ha subito l’influenza del polacco. Il lettone del russo. Il risultato è che i tre popoli vicini di casa tra di loro non si capiscono. La lingua franca è ancora il russo post-sovietico (per i più anziani) o l’inglese, su cui dopo la caduta del comunismo i giovani si sono buttati a capofitto.
Con gli stranieri del resto i tre popoli hanno sempre dovuto fare i conti, finendo, a seconda dei periodi, sotto il giogo di tedeschi, svedesi o russi, che hanno lasciato ampie e di solito apprezzabili tracce del loro passaggio. I primi a farsi vivi nel X secolo sono i tedeschi, che sotto la spinta di ordini come quello dei Cavalieri Portaspada e dei Cavalieri Teutonici, lanciano le cosiddette Crociate del Nord contro le tribù pagane del Baltico. Dopo i guerrieri arrivano i mercanti e la regione entra nello spazio di lingua tedesca. Ancora oggi l’inno tedesco fissa il confine della grande Germania al fiume lituano Memel, che si getta nel Baltico nei pressi della moderna Klaipeda. Dei fasti medioevali la capitale estone Tallin è un monumento ineguagliabile: la cinta muraria è quasi interamente conservata, delle 27 torri originarie 18 sono praticamente intatte, le stradine tra le case antiche restituiscono suggestioni rare.
In quei secoli Vilnius, appena a sud, si prepara a diventare una delle capitali dell’Europa rinascimentale e barocca. I principi della città, alleati alla dinastia reale polacca, riescono a fondare un regno che arriva fino alle coste del Mar Nero. Regno cattolico, cattolicissimo, che si trasforma nel bastione di Santa Romana Chiesa contro la Riforma. Dal centro del papato arrivano anche gli architetti che trasformano la città. La definizione di «piccola Roma» nasce da qui. Il soprannome non è originale ma curioso se si pensa che l’altro nomignolo è «Gerusalemme del nord». Sì, perché la città in un paio di secoli diventa uno dei centri più vivi dell’ebraismo mondiale. Nascono sinagoghe, scuole rabbiniche; l’yiddish, affascinante miscuglio di ebraico dei sacri testi, alto tedesco e lingue slave si trasforma in un’altra lingua franca della regione. Tutto viene spazzato via dalla catastrofe hitleriana: dei 200mila ebrei di Vilnius solo in 3mila sopravvivono.
Gli anni più recenti sono quelli della dominazione sovietica e della resistenza delle popolazioni baltiche. Con episodi destinati a entrare nel mito, come la colossale catena umana organizzata nel 1989: almeno due milioni di persone mano nella mano da Tallin a Vilnius per chiedere l’indipendenza da Mosca. Il rapporto con il grande fratello russo resta una delle chiavi per interpretare il presente della regione.

Che però vanta ormai legami strettissimi e a prima vista sorprendenti con un Paese come gli Stati Uniti. Negli anni difficili milioni di abitanti dei tre Paesi sono emigrati oltre oceano. Dopo il comunismo i loro nipoti sono tornati. A guidare la rinascita.

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