Constance era bellissima e il sonoro, appena nato, esaltava la sua parlantina disinvolta e seducente. Peccato sia arrivato poco di lei ai posteri al contrario delle dive che le contendevano la scena negli anni Trenta, Bette Davis, Joan Crawford, Claudette Colbert. Lew Ayres invece veniva dai night della California, a farlo ricco e famoso è il primo dottor Kildare, vent'anni prima di Richard Chamberlain. É così bello che Jane Wyman, per lui lascia il marito, attore lui stesso: Ronald Reagan. Constance e Lew fanno solo un film insieme, un film senza storia ma che fa la Storia, Common Clay, in italiano Tu che mi accusi, storia strappalacrime di una giovane cameriera che si innamora del padrone di casa. Ma è il film che fa del primo agosto del 1930, novant'anni fa, il giorno in cui il cinema americano comincia a parlare italiano.
Cinema che parla solo da tre anni, ma che fuori dai confini balbetta. Per le grandi major americane, la Paramount, la Metro Goldwin Mayer, la Twenty Century Fox, il parlato è una tragedia, soprattutto per l'export. Con il muto bastava cambiare lingua alle didascalie e si arrivava dappertutto, ma adesso che i divi del cinema devono fare sullo schermo quello che fanno gli spettatori nella vita di tutti i giorni, cioè parlare, è una catastrofe che spedisce le Norma Desmond sui viali del tramonto e consegna alla pensione le Lina Lamont di Cantando sotto la pioggia dalla voce morbida come una motosega. In Italia poi c'è un problema in più: il regime che italianizza tutte le parole straniere non vuole pellicole che parlino un'altra lingua. E il mercato italiano per gli Usa è il più redditizio d'Europa.
I primi esperimenti hanno lo stesso effetto ridicolo delle comiche di Hal Roach. Fanno doppiare i film in tutte le lingue del mondo agli stessi attori, ripetono le scene dieci volte, in tedesco, spagnolo, italiano, francese, con il gobbo a scandire la pronuncia delle parole. Ne escono vivi, ma per caso, solo Stanlio e Ollio. Il loro italiano maccheronico dagli accenti spostati è talmente esilarante che diventa un valore aggiunto, il loro marchio di fabbrica, l'unica traccia rimasta, ma indelebile, di quegli esperimenti falliti. Laurel e Hardy si esprimono in originale in un inglese perfetto, solo da noi fanno ridere anche per come parlano.
Ma alla fine degli anni Venti tra Hollywood e New York vive un gruppo di italiani che tentano di sfondare nel cinema, sono attori, musicisti, registi, scenografi. Alla Fox c'è Guido Trento, romano di San Francisco, che come tanti paisà durante la guerra verrà internato nei campi di concentramento del Montana; alla MgM il mantovano Augusto Galli, che lascia l'Italia per accompagnare una sorella dal padre che vive a Pasadena e poi non torna più. O la ballerina Francesca Braggiotti, che sposerà il governatore del Connecticut John Davis Lodge e verrà scelta da Ike Eisenhower come madrina della corsa alla Casa Bianca. A Hollywood vivacchia anche Alberto Rabagliati che ha vinto un concorso in Italia della Fox che cerca il sosia di Rodolfo Valentino. Forse e lì, pensano la major, che bisogna puntare per far parlare i divi, sugli italiani d'America, anche se dell'Italia hanno l'accento dialettale scorretto dallo slang broccolino.
Il battesimo del doppiaggio ha come padre un catanese di Hollywood, Franco Corsaro, e come madre Luisa Casellotti, sorella di Adriana a cui Walt Disney appaltò la voce di Biancaneve, quella vera, in inglese. Corsaro, amico di Tyrone Power, Orson Welles e Marlon Brando, entra dalla porta di servizio in una serie di film leggendari. Casablanca, Vacanze romane, Per chi suona la campana, Il Padrino. Luisa Caselotti, nata nel Connecticut, invece viene dal canto: la madre Maria è soprano, il padre Guido maestro di canto. Vengono da Udine, lei sa ballare e cantare, sposerà l'impresario di Maria Callas, Richard «Eddie» Bagarozy, sarà lei a farle per anni da allenatore vocale.
Cambia tutto quando la Paramount apre uno stabilimento di doppiaggio a Joinville, in Francia, dopo un anno e mezzo tutte le major decidono di spostarsi in Europa: la prima in Italia è la Casa Cines Pittaluga che apre nell'estate del trentadue, il direttore è Mario Almirante, il papà di Giorgio, leader dell'Msi, i primi doppiatori vengono tutti dal teatro.
Gli americani investono 800 milioni di dollari del piano Marshall per fare parlare i loro film nella nostra lingua, nasce lì la scuola dei doppiatori italiani, la migliore del mondo, e comincia una discussione che non è finita mai, doppiaggio o lingua originale? Pensare che all'inizio parlavano come Stanlio e Ollio. Qui diventarono perfetti. «L'italiano - diceva Ennio Flaiano - è la lingua parlata dai doppiatori».
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