Giovanardi: «Ci ha salvati il proporzionale»

Il ministro: «Ha permesso la nostra rimonta. Un accordo con Pannella ci avrebbe fatto perdere i favori cattolici»

da Milano

Sbaglia chi vede nella nuova legge elettorale la causa della sconfitta della Casa delle libertà. Il ministro per i rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi ne è persuaso e in questa intervista concessa al Giornale spiega perché.
Onorevole Giovanardi ieri alcuni giornali scrivevano: «Con la vecchia legge elettorale il centrodestra avrebbe vinto»...
«E si sbagliano, perché è vero l’esatto opposto. Innanzitutto è sbagliato dire che abbiamo perso. Al Senato abbiamo ottenuto il 50,2% e alla Camera dei deputati siamo stati battuti per una manciata di schede. Faccio notare che nemmeno l’Unione ha superato il 50%».
D’accordo, ma la polemica sulla legge elettorale è piuttosto accesa: perché lei continua a difenderla?
«Perché ha consentito una rimonta miracolosa, che fino a qualche settimana fa nessuno osava nemmeno pronosticare. La realtà è che da sempre il collegio uninominale penalizza il Polo: i voti raccolti dalle singole liste sono quasi sempre superiori rispetto quelli ottenuti dal singolo candidato. Ad esempio l’anno scorso nel Lazio i partiti del centrodestra hanno ottenuto la maggioranza, ma molti non hanno votato Storace, che ha perso. Lo stesso è accaduto in Piemonte».
E invece qual è la lezione delle elezioni del 9-10 aprile?
«Che il proporzionale ha consentito ai cittadini di scegliere liberamente tra più partiti all’interno della stessa coalizione quello che più corrispondeva alla propria identità. E dunque la gente si è sentita invogliata ad andare a votare, soprattutto i simpatizzanti della Casa delle libertà».
Alleandosi con i radicali, il centrodestra avrebbe vinto, non crede?
«No, perché la presenza di Pannella in passato ha scoraggiato il voto di una parte dell’elettorato cattolico. Con l’uninominale posti davanti all’alternativa tra un candidato di Rifondazione e uno del Partito radicale, molti elettori credenti preferivano astenersi. Senza Pannella siamo riusciti a ottenere molti consensi nell’elettorato cattolico».
Ne è sicuro?
«Sì, le faccio un esempio: a Torino il seggio del Cottolengo è tradizionalmente di sinistra. Quest’anno la Casa delle Libertà ha ottenuto il 70% delle preferenze e l’Udc oltre il 50%».
C’è chi dice: è stata soprattutto la paura delle tasse a spingere a destra molti elettori. Condivide?
«Non nego che la polemica sulle imposte ci abbia agevolato, ma non meno importante è stato un altro fattore: la gente ha votato con il cervello ma anche con il cuore. Gli elettori hanno voluto dire no anche alle candidature di Luxuria. Come Bush nel 2004, che riuscì a mobilitare l’America religiosa e tradizionalista, noi siamo riusciti a portare alle urne gran parte dell’elettorato credente, moderato e conservatore».
Guardiamo al futuro: può reggere il governo dell’Unione?
«Non credo. Metà dell’elettorato ha votato per una coalizione che aveva un programma definito, l’altra metà contro la Casa delle libertà e Berlusconi, senza costrutto. E in questi tre giorni sono già emerse le prime frizioni tra i partiti del centrosinistra. Per governare avrebbero avuto bisogno al Senato di 30-40 seggi di maggioranza, con solo due non andranno lontano».
Dunque l’ipotesi di una «Grosse Koalition» non è tramontata...
«Al momento sì, perché Prodi l’ha esclusa, ma tra qualche tempo se ne potrà riparlare».


Quando? Il governo Prodi durerà fino a Natale?
«Ho qualche dubbio. Forse sì, ma con grande fatica. E quando esploderà la crisi noi del Polo dovremo farci trovare pronti. Senza i litigi e le divisioni che nella scorsa legislatura sono costati caro».

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