«Giovanni Petrali sparò per difendere la sua vita e quella della moglie»

Le motivazioni della sentenza di assoluzione del tabaccaio che uccise un malvivente dopo un tentativo di rapina: «Non poteva "leggere in maniera diversa il drammatico susseguirsi degli eventi»

Successe tutto troppo in fretta. La rapina, le armi puntate, la sparatoria. Giovanni Petrali, il tabaccaio che uccise un malvivente e ne ferì un altro, non poteva «fermarsi» a valutare la situazione, mentre sparava quattro colpi in «sequenza rapida», perché c'era un «concreto pericolo di aggressione alla vita sua, della moglie e del dipendente». Così i giudici della prima Corte d'Assise d'appello motivano l'assoluzione per legittima difesa del commerciante, che in primo grado era stato condannato per omicidio colposo e lesioni colpose a un anno e 8 mesi. L'anziano tabaccaio, 75 anni, difeso dagli avvocati Marco Petrali e Marco Martini, è stato assolto con la formula della «legittima difesa putativa», ossia, secondo la Corte, ha agito pensando di trovarsi in una situazione di legittima difesa. I giudici, nelle motivazioni della sentenza emessa lo scorso 21 marzo, spiegano che i due rapinatori, Alfredo Merlino (ucciso) e Andrea Solaro (ferito), quel 17 maggio del 2003, vennero «colpiti da colpi esplosi all'interno» della tabaccheria, quando Petrali si trovava in una condizione di «ansia e apprensione». Poco prima, infatti, l'anziano era stato anche malmenato dai rapinatori dentro il locale. C'era, dunque, secondo i giudici, un «pericolo attuale» per lui e non si poteva quindi chiedere all'uomo di 'leggerè il «drammatico susseguirsi di eventi in maniera diversa». In particolare, ragiona la Corte, Petrali non poteva sapere che i malviventi stavano per andarsene. Merlino, spiegano i giudici, venne colpito mortalmente «mentre stava terminando di voltarsi per andarsene». Ma anche per i tre colpi sparati successivamente, per i magistrati, deve valere lo stesso «elemento soggettivo», ossia la condizione di legittima difesa putativa.

Per la Corte, Petrali non poteva avere altre «chiavi di lettura» di quello che stava accadendo,anche perché gli era stata puntata un'arma addosso. Per la Corte di primo grado, invece, si era trattato di un omicidio colposo, perchè la colpa del tabaccaio stava in un «errore di percezione», ossia di lettura della situazione.

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