Goss, un signor nessuno beffa tutti i grandi nella Sanremo più bella

nostro inviato a Sanremo

Una bellissima Sanremo, la più bella degli ultimi anni: manca solo un bel vincitore. Spiace diventare così sgarbati nei confronti del signor Matthew Goss, diavolo di Tasmania, 24 anni, professione gregario del quotatissimo Cavendish, ma sinceramente è molto difficile raccontarlo come il miglior vincitore possibile. Certo, da parte sua è bravissimo nello sprint decisivo a mettere in fila una decade di sopravvissuti. Niente da dire, per lui un capolavoro memorabile. Però diciamolo apertamente: a Sanremo hanno vinto pure i Jalisse. E questa di Goss ha più o meno lo stesso prestigio.
Si potesse, per ipotesi, cancellare dagli ordini d'arrivo i nomi un po' così, quest'anno basterebbe toglierne solo uno: sì, proprio il primo. Depennato mister Goss, senza offesa, tutto il resto sarebbe perfetto: una grande Sanremo e una classifica d'alta aristocrazia. Cancellara, Gilbert, i nostri Ballan, Pozzato, Scarponi e Nibali, tutti lì a dare spettacolo davanti a una platea enorme di tifosi eccitati. Purtroppo Goss c'è, esiste, e pure parecchio. Così, con questo nome davanti a tutti, lo spettacolo d'alta classe si trasforma inevitabilmente in una sonora batosta collettiva. Perdono in molti, nel gruppetto dei dieci. Perde prima di tutti Gilbert (voto 3), il superspecialista dei finali, che stavolta s'inceppa come un Rocco Siffredi la prima notte di matrimonio. Poi perde Cancellara (voto 4), che qui ha già vinto con una fenomenale fucilata all'ultimo chilometro, ma che stavolta spara solo un patetico turacciolo. E infine, spiace dirlo, perde male (ancora e sempre) il nostro Pozzato, al quale in un finale disegnato su misura non resta alcuna attenuante, anche se lui cerca di spiegare che "ho speso tutto chiudendo su Gilbert, in volata non mi è rimasto molto da spendere". Umanamente comprensibile, resta comunque voto 4,5.
Gli altri no, gli altri perdono senza essere sconfitti. Noi italiani siamo qui a raccontarci che non vinciamo una classica dall'ottobre 2008 (Cunego, Giro di Lombardia), il che a livello ciclistico andrebbe definita una tragedia, se non fosse che in giro per il mondo ce ne sono di abissalmente più vere e più serie. Rispettando il senso delle proporzioni, limitiamoci a dire che la classiche di un giorno continuano ad essere un immane tabù. Però stavolta c'è un però. Possiamo vantare con giusto orgoglio un bellissimo Nibali, il nostro purosangue per i grandi giri, per il grande Giro 2011. Qui, già che c'è, come tutti i purosangue sente l'atmosfera dei sontuosi appuntamenti e nessuno lo tiene più. Eccolo all'attacco sul Poggio, eccolo all'attacco nell'ultimo chilometro, eccolo cioè fare tutto quello che si può umanamente chiedere a un non-specialista in una gara per superspecialisti. Persino il suo rammarico, alla fine, è da personalità-campione: «Peccato, ci avevo quasi fatto la bocca. Purtroppo, giù dal Poggio, si è di nuovo tutto appallato. La Sanremo è questa: ti concede un colpo solo. Non puoi sbagliarlo. Però ne esco sicuro di aver fatto il mio dovere. In fondo, non dimentico che il mio vero bersaglio è a maggio e si chiama Giro d'Italia». Nell'attesa, gradisca voto 8.
Bravo Vincenzo, bravissimo anche Michele Scarponi, un altro che con la Sanremo c'entra come Gheddafi con la democrazia. Eppure, anche questo signor scalatore da Giro firma una grande Sanremo rimontando da solo un minuto lungo la Cipressa. E una volta arrivato sui primi riesce pure a piazzarsi sesto nello sprint regale. Certamente, significa voto 8,5.
E' mera consolazione, non è felicità azzurra e tanto meno tricolore, date le ricorrenze. Ma per gente che toppa puntualmente grandi classiche da due anni e mezzo, resta pur sempre qualcosa. Certo, stavolta abbiamo sulla groppa un'aggravante piuttosto imbarazzante. Da anni andiamo dicendo che per vincere la Sanremo bisogna rendere la corsa dura e selettiva, così da eliminare strada facendo gli sprinter stranieri. Nel caso specifico, la decimazione finalmente avviene, eppure l'esito è lo stesso. A spaccare la corsa non sono attacconi memorabili, ma quattro gocce di pioggia che sulla salita della Manie mandano a terra diversi bei nomi e frantumano il gruppo.

Tutto inutile: alla fine, tra i primi, resta un solo sprinter vero. Si chiama Goss. E trionfa. Morale della favola: per vincere la Sanremo non dobbiamo lasciarne in piedi neppure uno. Nei prossimi anni, se non basta la pioggia, sotto con padellate in curva e mazze chiodate.

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