Il governo rivede gli estimi: l’Ici sarà più cara

La soglia più alta, attualmente al 7 per mille, sarà decisa dalle amministrazioni

Serena Cipolla

da Milano

Più tasse per i proprietari di case. Il governo avvia la rivoluzione degli estimi e nel mirino finiscono i valori catastali di trenta milioni di immobili e un consistente aumento della pressione fiscale. L’obiettivo della maggioranza, infatti, è adeguare i valori catastali a quelli di mercato. Così nella prossima finanziaria è possibile che venga reso definitivo il decentramento del catasto ai Comuni iniziato già nel ’98. Ciò significa il controllo diretto dei sindaci sugli immobili situati sul proprio territorio e soprattutto maggiori entrate per le casse locali. Sì, perché con gli adeguamenti previsti sul valore degli immobili scatterebbero automaticamente gli aumenti dell’Ici, l’Imposta comunale degli immobili che oggi come ieri costituisce la prima risorsa di bilancio dei governi cittadini. Sono i Comuni a stabilire le aliquote, oggi quella massima è del 7 per mille, che vengono applicate sugli estimi. Lo sa bene il sottosegretario dell’economia Alfiero Grandi che per conto del ministro dell’Economia Padoa-Schioppa si occupa di Catasto e che ieri ha dichiarato: «Le tasse locali sugli immobili hanno bisogno di un margine maggiore d’intervento. In alcuni casi l’Ici dovrebbe poter scendere anche sotto la soglia del 4 e in altri, salire anche oltre l’aliquota massima fissata al 7 per mille». Dichiarazioni che hanno provocato accesi interventi anche al convegno del Coordinamento dei legali della Confedilizia che si è svolto ieri a Piacenza.
Il presidente Corrado Sforza Fogliani ha infatti sottolineato come in realta, prima ancora della valutazione sul decentramento ai Comuni sia necessario riflettere su una questione centrale: decidere se sia giusto accettare un catasto che si basa sui valori degli immobili come quello attuale e per altro valutato solo provvisoriamente legittimo dalla Corte costituzionale, o se invece non sarebbe più equo basarsi su un catasto che accerti i redditi prodotti. E ciò soprattutto in un periodo durante il quale crescono i valori delle compravendite mentre diminuisce la redditività della locazione in tutti i comparti, da quella abitativa a quella commerciale.
Un problema non da poco dato che, come più volte denunciato da Confedilizia, oggi la tassazione decurta di oltre il 50% la redditività immobiliare. «Il Catasto dei valori - spiega il presidente dell’associazione Corrado Sforza Sfogliani - sarebbe solo uno strumento dei Comuni per fare cassa. Questi ultimi, infatti, dopo avere innalzato al massimo e pressoché ovunque, le aliquote Ici si occuperebbero della rivalutazione dell’imponibile su cui si basa l’imposta con grandi benefici per il proprio bilancio». L’associazione che tutela gli interessi dei proprietari immobiliari non ha dubbi. Se il trasferimento del catasto ai Comuni, come previsto dalla legge, significa un decentramento non solo delle funzioni elementari come per esempio il rilascio delle certificazioni o le visure catastali, ma anche la rivalutazione degli estimi saremo davanti anche a un conflitto d’interessi: chi controlla il controllore? Questo sistema non è accettabile perché prima dovrebbe essere quantomeno stabilita la possibilità per i cittadini di verificarne la congruità. Infatti oggi la determinazione degli estimi può essere impugnata dai contribuenti dinnanzi al Tar (il tribunale amministrativo regionale) solo per «vizi di legittimità» senza entrare nel merito dei criteri che sono stati adottati per il calcolo. «È ingiusto che i proprietari di case e solo loro - sostiente Sforza Fogliani - paghino le imposte sul valore degli immobili e non sul reddito effettivo o potenziale a differenza di quanto invece succede su altre tipologie di beni». Non solo.

Secondo l’associazione, dare ai Comuni la possibilità di fissare e gestire gli estimi significa rompere il principio dell’equità tributaria che portò nell’800 all’unificazione dei catasti italiani sparsi sul territorio e tornare indietro di un secolo e mezzo.

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