Groucho il detective gioca con le parole

I fratelli investigatori che rovesciano il mondo

Carlo Faricciotti

Sarà per i fumetti di Dylan Dog, sarà per qualche retrospettiva tv, ma anche i ragazzini, garantisce Marco Balbi, regista dello spettacolo, sanno chi è Groucho Marx.
Comunque sia, Groucho e i suoi fratelli sono la fonte di ispirazione di Chiamatemi Groucho, in scena nel Cortile di Brera (ogni sera alle 21.30 tranne domenica, ingresso da via Fiori Oscuri).
Scritto da Emilio Russo e interpretato da Patricia Conti, Andrea Lapi, Gianni Quilico e Nicola Stravalaci lo spettacolo chiude la stagione del Teatro Filodrammatici, ma è già stato incastonato nella stagione 2006/2007 del Teatro, a dicembre.
L'ambientazione è quella dello studio dei detective Fratelli Marx Avvocati e Investigatori: i fratelli si trovano alle prese con tre casi diversi, con in comune il fatto che tra i clienti serpeggino dubbi e paure e tutti si ritrovino sommersi e scombussolati dall'esuberanza verbale dei detective-avvocati.
Così, un marito tradito troverà le prove dell'infedeltà della moglie, ma sarà sconvolto dall'esito delle indagini; gli ambasciatori di due nazioni confinanti trattano per un accordo di pace e tolleranza, ma trovano la guerra; un quadro di grande valore è stato rubato, ma sarà ritrovato in circostanze ancora più misteriose.
Nei tempi morti, c'è chi suona il pianoforte (la giovane pianista Vicky Schaetzinger), chi canta, chi guarda la televisione, chi rilascia misteriose interviste. Un mondo, insomma, in cui «le parole servono da trampolino per altre parole, spesso per altri mondi, distanti anni luce dal punto di partenza» come dice Balbi.
Che aggiunge: «Il genio di Groucho attraverso questo tourbillon dove il vocabolario è inesorabilmente fatto a pezzi ci conduce a una presa di coscienza: il linguaggio al quale affidiamo la nostra ragione e i nostri sentimenti è in realtà uno strumento pericoloso, un'arma micidiale, un concentrato di ambiguità che da un lato dovrebbe metterci in guardia, consigliando un uso più prudente, e dall'altro ci regala la possibilità di ridere di esso e di noi a cuor leggero».
Acrobati della parola, senza rete e senza paura, gli interpreti saranno chiamati a condurre gli spettatori in questo folle labirinto, per poi perderli. Dal canto suo la musica, eseguita in scena, spazierà dal ragtime a Rachmaninov, senza timori di utilizzare arpe, trombette, violini, cori, macchine da scrivere.


Un delirio perfettamente organizzato collocato in una cornice inusuale, quella del Cortile dell'Osservatorio braidense: uno spazio scenico dove «l'elemento dominante sono le porte. Porte che non conducono da nessuna parte, ma che, come le parole, da mezzo diventano fine, giostra insensata, pretesto per passare ad altro» conclude Balbi.

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