"Il guardiano notturno" veglia per la sua tribù

Louise Erdrich è autorice di romanzi, poaesi, racconti e libri d'infanzia. "Il guardiano notturno" ha vinto il Pulitzer 2021

"Il guardiano notturno" veglia per la sua tribù

Nei meravigliosi anni Cinquanta, mentre l'America è in pieno boom, Arthur V. Watkins, senatore dello Utah, aria compita da predicatore mormone e spirito da picchiatore, cerca di far passare un disegno di legge che, in nome di una fantomatica «emancipazione», punta a smantellare le riserve indiane, e a espropriare i nativi di ciò che è rimasto delle loro terre. Ma nella riserva di Turtle Mountain, nel North Dakota, c'è un uomo, Thomas Wazhashk, che è deciso a lottare per la sua tribù, per i suoi antenati e per i giovani come la bella Pixie, che lavora in fabbrica. La prima aperta nella riserva, dove le donne indiane, abilissime e pazienti, incollano minuscole pietre preziose che finiranno negli strumenti del dipartimento della Difesa e negli orologi Bulova. Watkins ha aperto il fronte dell'ultima guerra contro gli indiani, e Wazhashk ha raccolto le truppe per rispondere: truppe che, nel suo caso, sono decine e decine di lettere che scrive, in perfetta calligrafia da collegio, durante i turni da guardiano di notte alla fabbrica.

È Wazhashk Il guardiano notturno (Feltrinelli) che dà il titolo al nuovo romanzo di Louise Erdrich, premio Pulitzer per la narrativa 2021: un uomo buono, affidabile e serio come il topo muschiato di cui porta il nome. Il wazhashk, in lingua chippewa, è «l'umile, laborioso roditore» che, quando il pianeta era ricoperto dall'acqua dopo il diluvio, aveva aiutato Dio a recuperare una manciata di terra immergendosi nel fondo dell'oceano al prezzo della sua stessa vita: un essere piccolo, pronto a sacrificarsi per salvare gli altri. Thomas, il guardiano notturno visitato ogni notte da un gufo, insieme al senatore mormone è l'unico personaggio reale del romanzo di Erdrich ed è ispirato al nonno della scrittrice, Patrick Gourneau, che davvero fu presidente del Consiglio direttivo della tribù dei chippewa della Turtle Mountain a metà degli anni Cinquanta, davvero combatté contro il disegno di legge che puntava all'estinzione delle tribù e davvero scrisse decine di meravigliose lettere.

La bravura di Erdrich è nel raccontare senza retorica una storia che la tocca così da vicino. E ci riesce immergendola autenticamente nel mondo del nonno (e della nonna, perché, come spiega nella nota finale, le donne delle tribù hanno patito sofferenze enormi), nei boschi dove ancora camminano gli spiriti degli antenati, dove la madre di Pixie, la sciamana Zhaanat, cerca di sanare la «frattura nella vita dei luoghi» causata dagli invasori con il suo sapere prezioso e la sua cura infinita per la natura, dove i fantasmi tornano a visitare i viventi, dove c'è un tragitto da percorrere per chi muore, dove l'odio può trasformarsi in un uccello e compiere una tremenda vendetta nei confronti di chi ha fatto del male... Non c'è retorica, anzi, l'intento di Erdrich è totalmente antiretorico.

Fra riti, erbe magiche, violenza, abusi, povertà e manovre politiche, Erdrich vuole mostrare come «una sfilza di aride parole in un documento governativo possa annichilire gli animi e distruggere vite» (per chi ancora ne dubitasse); ma, allo stesso tempo, rincuorare chi crede «che sia impossibile cambiare quelle parole aride». Almeno finché esisteranno i topi muschiati. E ragazze come Pixie, che sognano con i versi di Emily Dickinson.

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