La guerra degli oligarchi

Da mille a 2mila miliardi di dollari: è il "tesoro" russo nascosto in Occidente. Usa e Ue hanno aperto la caccia

La guerra degli oligarchi

In una recente intervista alla Novaya Gazeta (pubblicata in Rete su server ben lontani dalla Russia) l'economista Thomas Piketty ha esposto una ricerca condotta con due colleghi. «Abbiamo fatto una stima delle attività finanziarie detenute dai ricchi russi in Occidente: i margini di incertezza sono ampi ma siamo convinti che siano nella fascia tra i mille e i 2mila miliardi di euro». La cifra equivale grosso modo al Pil di una nazione grande come l'Italia e i calcoli di Piketty si basano su un ragionamento: «Negli ultimi 20 anni la Russia ha esportato circa il 5-10% del Pil annuo, frutto del surplus commerciale principalmente legato alle esportazioni di petrolio e gas. Con un surplus commerciale del genere ogni anno per 20 anni, alla fine si dovrebbe arrivare a riserve estere tra il 100% e il 200% del Pil. Ma nel caso della Russia, le riserve estere sono dieci volte inferiori, forse il 10 o il 20% del prodotto interno».

Che fine ha fatto tutto il resto?

Il resto, dice l'economista, sono soldi di cui gli oligarchi legati al regime di Mosca sono riusciti a impadronirsi e che poi hanno «imboscato» nel sistema finanziario del mondo libero, utilizzando tutti i possibili escamotage offerti dal sistema giuridico occidentale. Molto di questo denaro è ormai perfettamente mimetizzato, figura nei bilanci di società off-shore o di gruppi finanziari registrati in paradisi fiscali europei come Cipro o il Lussemburgo, ed è indistinguibile da qualsiasi altra somma in circolazione sui mercati finanziari. Ma i reali proprietari sono cresciuti e hanno prosperato all'ombra del Cremlino e della corruzione del regime putiniano.

CACCIA AL LADRO

Di fronte a queste stime fanno sorridere le cifre sequestrate dopo l'invasione dell'Ucraina. L'Unione Europea ha reso noto di aver congelato patrimoni russi pari a 19 miliardi, negli Stati Uniti i miliardi sequestrati sono 30, in Svizzera (dove secondo alcune stime sarebbero depositati tra i 100 e i 200 miliardi di proprietà russa) meno di 10. A questi soldi di proprietà degli oligarchi si aggiungono, le riserve ufficiali della Banca Centrale di Mosca, valutate ufficialmente tra i 300 e i 350 miliardi di dollari. Depositate nelle casseforti degli istituti occidentali, sono state congelate nei giorni immediatamente successivi allo scoppio della guerra. Dell'ideazione del blitz, coordinato a livello internazionale, furono protagonisti due politici che per i loro passato di banchieri sapevano bene dove mettere la mani: il segretario al Tesoro americano Janett Yellen e l'allora premier Mario Draghi.

È su questi soldi che è destinata ad accendersi una battaglia di cui si vedono i primi segnali. La richiesta del governo di Volodymyr Zelensky è che i patrimoni per il momento «congelati», vengano sequestrati e destinati alla ricostruzione dell'Ucraina, che secondo le valutazione della Banca Mondiale potrebbe costare fino a 750 miliardi. L'Unione Europea sin dall'autunno scorso, per bocca della presidente della Commissione Ursula von Der Leyen si dichiarò d'accordo. E qualche giorno fa il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, in un'intervista al Financial Times ha confermato la volontà dei governi del Vecchio Continente: «È questione di giustizia ed equità. Tutto deve avvenire nel rispetto del principio di legalità ma c'è un interesse politico a procedere e ad arrivare a un risultato in questo senso». Un Paese come l'Estonia ha già dichiarato di voler andare avanti da solo senza la necessità di aspettare che si muova l'Europa: la premier Kaja Kallas ha annunciato che il governo di Tallin sta preparando una legge ad hoc.

MODELLO ITALIANO

Per i sostenitori del sequestro dei soldi russi un esempio spesso citato è quello dell'Italia e delle leggi approvate nella Penisola per sequestrare soldi dei mafiosi. È questa, per esempio, la posizione del Rusi (Royal United Services Institute), uno dei maggiori centri di ricerca britannici nel campo della difesa e della sicurezza. Norme come quelle anti-mafia, si legge in un paper dell'Istituto, «consentirebbero agli investigatori di confiscare proprietà immobiliari e altri beni nel caso si dimostri che oligarchi e cleptocrati costituiscono una minaccia alla sicurezza nazionale a causa dei loro legami con governi e individui protagonisti di casi di corruzione».

Quanto agli Stati Uniti, dove la legislazione già in passato, per esempio nel caso dell'Irak di Saddam Hussein, era stata modificata per consentire il sequestro di beni stranieri, non mancano i sostenitori della linea dura. Il più famoso e attivo su questi temi è un uomo d'affari, Bill Browder, che è stato il più efficace lobbista a favore delle sanzioni contro la Russia. Nei giorni scorsi una Corte Usa ha stabilito il primo sequestro che potrebbe essere utilizzato per la ricostruzione ucraina: 5,4 milioni di dollari all'oligarca Kostantin Malofeev.

MANI LEGATE

Impadronirsi dei soldi russi appare, però a molti tutt'altro che semplice. Non solo per la possibile reazione di Mosca. A motivare gli oppositori a confische generalizzate sono soprattutto ragioni legate al rispetto dei principi dello stato di diritto. I sequestri sarebbero giustificabili solo se collegati a concreti casi di illecito. Provvedimenti erga omnes si scontrerebbero anche con ragioni pratiche. «La confisca di asset russi senza che questa possa essere messa in relazione a casi di criminalità priverebbe i cittadini e le aziende occidentali all'estero di quella protezione legale che i governi occidentali si sono sforzati di ottenere dagli altri governi nel corso degli ultimi decenni», ha scritto su Foreign Policy Elizabeth Braw, dell'American Enterprise Institute.

La soluzione a cui l'ufficio giuridico del Consiglio Europeo sta lavorando e di cui si è parlato nel recente summit con al Ue di Kiev, è quella di un fondo a cui trasferire una parte (quella liquida e individuata tra i depositi che la Banca nazionale russa aveva nelle banche commerciali e nelle banche nazionali europee). Il fondo, per il momento si parla di 33,8 miliardi, sarebbe affidato in gestione all'Ucraina che finanzierebbe così la ricostruzione. L'utilizzo dei soldi sarebbe però temporaneo e accompagnato da garanzie di restituzione in un secondo tempo al legittimo proprietario e cioè alla Russia.

In attesa che il progetto arrivi a compimento la caccia ai patrimoni russi continua. Molti tra gli oligarchi più vicini a Putin, sono stati molto abili a far sparire le loro disponibilità liquide in un dedalo di società e di conti correnti inaccessibili. Quasi tutti ci hanno pensato per tempo. Roman Abramovich, ex padrone del Chelsea, che nei giorni immediatamente precedenti l'invasione dell'Ucraina trasferì parte dei suoi averi a trust intestati ai figli, è stato tra i tycoon russi più tardivi e meno provveduti.

Non a caso è stato anche tra quelli i cui averi si sono svalutati di più. Secondo i calcoli dell'agenzia finanziaria Bloomberg, che cura ogni anno una classifica internazionale dei miliardari, nel 2022 ha visto il suo patrimonio perdere il 57% del valore. Oggi «pesa» non più di 7,8 miliardi di dollari, ben oltre la posizione numero 200 tra i più ricchi del pianeta. Perdite paragonabili a quelle di Abramovich (-48% con un patrimonio ridotto a 11,8 miliardi) le ha subite Gennady Timchenko, mentre le perdite medie subite dagli oligarchi sono di poco inferiori a un terzo del loro patrimonio (vedi anche i riquadri pubblicati in queste pagine).

INDAGINE TEDESCA

Per qualcuno tra i super-ricchi del mondo ex sovietico guerra e sanzioni si sono tradotti in una specie di disastro perché hanno attirato l'attenzione delle autorità europee sulla loro attività. È il caso di Alischer Usmanov, uno degli oligarchi sanzionati dalla Ue accusato tra l'altro di riciclaggio : nel settembre dell'anno scorso le autorità tedesche hanno perquisito le sue residenze , tra cui una splendida villa vicino a Monaco di Baviera. Secondo l'accusa avrebbe sottratto al Fisco tedesco 550 milioni di euro in quello che potrebbe essere il più grande caso di evasione fiscale mai verificatosi in Germania.

Ma quanto difficile sia fare i conti con i beni russi sparsi in Europa lo dimostra il recente convegno di Davos.

Secondo la squadra di giornalisti investigativi che fa capo ad Alexei Navalny i lavori del meeting si sono svolti a due passi dal splendido appartamento (prezzo di mercato almeno 3,5 milioni di euro) di proprietà di Liudmilla Putina e intestato al suo nuovo compagno. Farebbe parte della «dote» che l'inquilino del Cremlino le ha lasciato dopo la separazione.

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