La guerra al terrore negli States è sempre più "pop"

L’11 settembre, il conflitto in Irak, l’esercito e i giornalisti "embedded" diventano i protagonisti di una nuova generazione di fumetti americani

La guerra al terrore negli States è sempre più "pop"

C’era una volta Super Eroica. C’era una volta l’Uomo Ragno. C’erano i fumetti in tv, le guerre dell’altro secolo e i super eroi di un fantastico presente. Ricordi bruciati, inghiottiti dal buco nero di Ground Zero, cancellati dall’Irak e dall’Afghanistan, sostituiti dai nuovi orrori, dalle nuove paure, dalle nuove angosce. Ma anche da un senso di orgoglioso coraggio. Sono l’altra faccia dell’America del dopo 11 settembre. Sono i suoi fantasmi, i suoi incubi, i suoi dubbi schizzati sulla carta, trasformati in fumetti di successo. Sono i soldati in prima linea, sono i giornalisti reduci dall’embedding pronti a rinunciare a titoli e computer per tornare alla matita e raccontare una guerra sporca e tremendamente graphic, ancor più crudele di quella sceneggiata dal grande schermo. Ma mentre i film di Hollywood ambientati in Irak e Afghanistan sono un fiasco, i loro omologhi a fumetti come Dmz, Combat Zone, War Fix e Pride of Baghdad sbancano edicole e librerie, incantano gli appassionati, fanno esplodere il talento dell’italiano Riccardo Burchielli disegnatore di Dmz.

Dmz, il più famoso dei nuovi fumetti ispirati alla guerra al terrorismo, non poteva decollare se non da una Manhattan distrutta, ridisegnata mescolando le scenografie visionarie del film 1997. Fuga da New York e le macerie insidiose di Falluja. Su quei ruderi volteggiano un Black Hawk, una troupe televisiva e l’atterrito fotografo ventenne Matty Roth. Sotto di loro si stende una «Grande Mela» divorata dalla guerra civile tra i miliziani dei «free states» e l’esercito federale, una metropoli diventata «Dmz»: una zona demilitarizzata che nessuno riesce né a conquistare né a evacuare. «Per ispirarmi e disegnare le mie storie saccheggio giornali, news televisive, siti internet, fotografie di quotidiani – racconta Riccardo Burchielli – perché i miei protagonisti vivono in mezzo a un conflitto che visivamente è quello iracheno». Quel magma di immagini vissute acquista identità e parola attraverso lo slang della strada e della trincea. «Fucking asshole come back here... bastardi rotti in c... tornate qui» - grida disperato Matty Roth mentre si ritrova sotto il fuoco e vede giornalista e troupe fuggire a bordo del Black Hawk. Quando l’elicottero esplode in volo il terrore di quel giovane fotografo abbandonato nella «Dmz» richiama le peggiori paure dell’America minacciata dal terrorismo. Ma le avventure di quel ragazzino capace di trasformarsi in inviato sul campo e raccontare il mondo sconosciuto della «Dmz» sono anche l’altro volto di una nazione pronta a reagire e a combattere.

Chi vuole più convinzioni, preferisce Combat Zone, la guerra dell’inviato super conservatore e ultra embedded Karl Zinmerstein trasformata in fumetto dalla Marvel. «Ci stanno bersagliando... dobbiamo colpirli con qualcosa che li stenda tutti o gli faccia così male da fargli perdere la voglia di spararci addosso» – urla un infuriato ufficiale a cui il comando nega l’appoggio aereo per colpire il villaggio dove si nascondono gli insorti. In Combat Zone la guerra è soprattutto un gioco sporco. Come sui veri campi di battaglia i guerriglieri sparano dalle case abitate, dalle moschee, dagli ospedali, si mescolano alle donne e ai bambini, ti colpiscono da dietro il volante di un’autobomba. E la superiorità tecnologica e militare non garantisce né la vittoria né la sopravvivenza.

War Fix è, invece, il resoconto delle avventure al fronte di David Axe, un giornalista spinto dalla scimmia inquieta dell’adrenalina, un reporter così drogato dalla guerra da rinunciare ad amori e carriera per un posto in prima linea. La sua indole romantica barcolla, però, sotto i colpi della realtà, mastica la sofferenza di ritrarre la sofferenza. Quando una madre con il figlio in braccio gli agonizza ai piedi, il suo cervello conta i dollari dello scatto e il suo cuore non sa dirgli se soccorrerla o fotografarla. E nel fumetto l’obbiettivo diventa il mitragliatore pronto a liquidare la dignità della morte e di chi l’osserva.

La guerra dei nuovi fumetti è anche la saga, tra finzione e realtà, dei quattro leoni sfuggiti alle gabbie dello zoo di Baghdad all’indomani della caduta di Saddam Hussein. David Vaughan, uno degli sceneggiatori della serie televisiva Lost, ruba lo spunto di cronaca, lo trasforma nelle angosce di un popolo salvato dal dittatore, ma costretto a fare i conti con un mondo dove per sopravvivere non basta più obbedire. «Zill, il più vecchio dei quattro leoni – spiega Vaughan - è pronto a sottomettersi a chiunque gli dia da mangiare, Noor è giovane orgoglioso deciso a conquistarsi la libertà con gli artigli, l’anziana Safa ricorda le insidie della giungla ed è pronta a rinunciare a un po’ di libertà in cambio di qualche certezza, Alì nato in prigionia è ignaro di tutto».

Peccato che Vaughan, prigioniero a sua volta della cronaca, non conceda ai suoi leoni iracheni un po’ di luce in fondo al tunnel. Fedele alla realtà fino in fondo conclude il suo impietoso libro a fumetti mandando Zill, Noor, Safa e Ali a morire sotto i colpi di una pattuglia americana.

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