"Unicum nel panorama italiano": la voce dei reporter contro propaganda e fake news

L'incontro-dibattito cerca di trarre utili lezioni per capire il ruolo del giornalismo oggi e la funzione della stampa nel raccontare le dinamiche aperte dai conflitti che continuano a infiammare il pianeta

"Unicum nel panorama italiano": la voce dei reporter contro propaganda e fake news
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Raccontare la guerra oggi è l'incontro-dibattito organizzato da ilGiornale.it e InsideOver nella cornice del Palazzo delle Stelline, in corso Magenta a Milano, martedì 26 settembre alle 18.

L'evento ha visto alternarsi gli interventi di alcuni volti noti del giornalismo italiano, testimoni dei più complessi teatri bellici degli ultimi decenni. I protagonisti dell'incontro: Fausto Biloslavo, reporter di guerra e storica firma de ilGiornale; Alberto Negri, a lungo inviato de Il Sole 24 Ore nei principali teatri del Medio Oriente; Lucia Goracci, corrispondente Rai da Istanbul; Giovanna Botteri, corrispondente Rai da Parigi; Marcello Foa, ex presidente Rai; Fulvio Scaglione, a lungo vicedirettore di Famiglia Cristiana e Daniele Bellocchio, giornalista pubblicista che ha raccontato i conflitti in Somalia, Congo, Nigeria, Sudan e la rinascita di Haiti. Modera Andrea Muratore, analista geopolitico, collaboratore de ilGiornale.it e TrueNews.

L'evento si è aperto con i saluti introduttivi del presidente di Fondazione Stelline, Fabio Massa. "Come fondazione pensiamo sia importantissimo discutere non solo di temi culturali, ma anche di temi legati al dibattito civile, come raccontare la realtà. Propaganda e fake news sono i mostri contro cui dobbiamo combattere ogni giorno. E la guerra è forse l'argomento che è più tremendo da trattare".

Il mestiere del reporter oggi

Il primo, in videocollegamento dalla Tunisia dove sta svolgendo un reportage, è Fausto Biloslavo. "Mi dispiace non essere con voi ma come vedete sono con i migranti che assediano il fortino dell'Onu alle mie spalle. Non è una guerra ma è una crisi epocale, un'emergenza, per la Tunisia ma anche per l'Italia e per l'Europa. E ci sono anche gli effetti delle guerre: abbiamo incontrato diversi rifugiati fuggiti a piedi dal Sudan dove è scoppiata l'ennesima guerra. Come mi ha insegnato Montanelli, il nostro lavoro è fatto sul campo. Bisogna vedere se hai le suole delle scarpe bucate. Noi questa mattina siamo andati nel deserto a cercare i migranti guardando le orme sul terreno, le orme di persone che hanno passato il confine a piedi scalzi nel deserto per arrivare fino a qua".

"Noi abbiamo un compito fondamentale: la correttezza professionale, la correttezza di raccontare le luci e le ombre delle cose che accadono. Fare un lavoro onesto che permette di trasferire all'opinione pubblica in Italia, un minimo di realtà dei fatti, magari non una verità assoluta ma quelle piccole storie che rappresentano la realtà di un conflitto. Qualcuno dice che il giornalismo sul campo è morto: non è vero".

Sallusti: "Unicum nel panorama editoriale italiano"

Sale sul palco per un breve saluto personale il direttore de ilGiornale Alessandro Sallusti. "In questa mia direzione bis l'obiettivo è quello di non deludervi. Io ho visto nascere InsideOver, devo dirmi onestamente che tutto è avvenuto senza il mio merito, che è tutto dei ragazzi del sito. Credo che sia un unicum nel panorama editoriale italiano e non solo. Vogliamo procedere su quella strada. Sono qui per rassicurarvi che se siete qui oggi numerosi per vedere questo, continuerete a vederlo migliorato e arricchito. Buon lavoro e andiamo avanti".

Evitare il male dilagante della faziosità

Fulvio Scaglione, ex direttore di Famiglia Cristiana e oggi collaboratore di Avvenire dibatte sulla differenza tra giornalismo dei reporter e dei corrispondenti. "Fondamentalmente io non sono un giornalista di guerra, a differenza di Biloslavo se domani scoppia un conflitto non mi muovo. Sono uno che si è occupato dei problemi di alcune macroregioni dove capitava la guerra, ma non sono andato a cercarle, sono loro che sono venute a cercare me. Io già mi occupavo di quei luoghi e di quella gente. Questo atteggiamento di osservazione un filo distaccata mi ha aiutato ad allontanarmi dal male dilagante della faziosità, della presa di posizione preconcetta, che viene abbastanza naturale in un guerra dove c'è sempre un buono e un cattivo. La mia è un'esperienza di giornalismo certamente meno epica per esempio di quella di Fausto, che però ugualmente mi ha portato in scenari abbastanza interessanti".

Botteri Stelline

Gli occhi della guerra indipendenti dai condizionamenti

Giovanna Botteri, in videollegamento, parla della capacità del giornalismo sul campo di essere la pietra d'inciampo che può bloccare anche un meccanismo di condizionamento. "Gli occhi della guerra vuol dire appunto esserci, quella è la prima discriminante. Ad esempio la guerra in Iraq, quando i colleghi sono andati a Falluja, hanno fatto la grande offensiva: filmare anche solo quel piccolo elemento, ti dava la misura di quello che stava succedendo, di come stava succedendo, ed era il granello di sabbia che alla fine riesce a fermare l'intero meccanismo. Non esiste la verità, ma esistono gli occhi. Durante la guerra in Iraq, dove c'era effettivamente una grossa pressione ideologica, gli occhi raccontano quello che succede e quello che vedi, indipendentemente da quello che tu pensi di quella guerra. Io non faccio più la reporter di guerra, sono una corrispondente da Parigi, e parlo oggi da ascoltatrice facendo maggiore difficoltà a comprendere".

L'importanza di avere prospettive diverse

Per Alberto Negri: "Una differenza tra presente e passato è che una volta si andava sul posto mesi prima che scoppiasse un conflitto, ne vedevi la genesi. Oggi invece molto spesso, per mancanza di fondi, ti precipitano sul fronte con una preparazione che è limitata. Non c'era internet e si viaggiava con valigie piene di libri. In più c'era anche una certa specializzazione: chi seguiva il Medio Oriente, chi seguiva l'Africa, chi seguiva i Balcani. In certi contesti, si cerca di andare su un fronte o su un altro. Io mi ricordo che la guerra in Iraq negli anni ottanta l'ho fatta sia sul fronte iracheno che iraniano. Guardate cosa è successo in Ucraina: sono andati giornalisti che aveva seguito la parte del Donetsk, dalla parte russa, quando sono andati a Kiev sono stati arrestati come spie. Questo succede perché bisogna dare una sola versione della storia, perlomeno una che sia predominante, già due complicano troppo lo spirito critico occidentale. Noi dobbiamo prendere anche prospettive diverse da quelle che abbiamo: certo che c'è la crisi migratoria, ma mica da oggi, sono trent'anni che faccio reportage sui migranti in Tunisia".

Goracci Stelline

Il reporter di guerra è un vaso di coccio tra vasi di ferro

Lucia Goracci, in videocollegamento, approfondisce il tema della verità, come si resiste alle solleccitazioni delle parti in guerra. "In guerra la verità non esiste, il reporter di guerra è un vaso di coccio tra vasi di ferro, un naufrago con una candela tremolante in mano circondato da attori che quella candela vorrebbero spegnerla o almeno portarla dalla loro parte. Oggi siamo meno essenziali, perché il ribelle si riprende da solo, non ha bisogno della nostra testimonianza. Quindi devi sempre avere come punto di riferimento la vocazione all'indipendenza, che non significa non essere empatico con quello che capita, ma significa non essere tifoso di nessuno. In Libia ricordo la mia puntigliosità al cospetto delle fosse comuni, non mi accontentavo della versione dei fratelli ribelli, Gheddafi è sì un farabutto ma io non stavo là per prendere le parti di qualcuno".

Il reporter è come lo storico che lavora nel presente

Daniele Bellocchio, reporter molto spesso in luoghi dimenticati dai media, come l'Africa subsahariana, ha raccontato storie di popoli che hanno avuto su di loro le impronte delle guerre e delle loro conseguenze sul lungo termine. "Nella redazione del Giornale c'è un piccolo santuario laico che è la prima pagina incorniciata del primo numero del giornale di Montanelli. In prima pagina c'è un reportage dall'Angola di Egisto Corradi. Pensare che un giornale nasce parlando di quegli scontri è una cosa pazzesca. Purtroppo oggi si sente dire che parlare dell'Africa non interessa. Questa è una grande bestemmia, perché chi ha fatto il mestiere del reporter non solo ci ha raccontato il contingente, ma ci ha fornito gli strumenti per capire il paradigma della contemporaneità. È lo stesso lavoro dello storico, ma dello storico che lavora nel presente".

La propaganda è diventata sempre più violenta

L'intervento di Marcello Foa parla di questa serata come una iniziativa senza pari nel panorama editoriale italiano. "Io studio queste tematiche da ormai quasi vent'anni. La propaganda è sempre esistita, soprattutto in scenari di guerra, quello che mi preoccupa è che è diventata propaganda sempre più violenta. Noi tutti abbiamo raccontata la guerra in Iraq su presupposti che si sono rivelati poi falsi. I giornalisti intellettualmente onesti e coraggiosi che all'epoca dicevano che le armi di distruzione di Saddam non c'erano venivano accolti come traditori o addirittura amici di bin Laden. C'era un'intimidazione verso quei giornalisti che osavano non prendere parte ma raccontare con obiettività quello che riscontravano.

Questo tipo di approccio è diventato sistematico nelle ultime crisi che abbiamo vissuto, dal Covid all'Ucraina. Il giornalista che osa raccontare quel che vede rischia di essere estromesso se la sua narrazione non coincide con il messaggio forte propagandistico".

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