da Roma
Da una parte e dell’altra, c’è chi si sbilancia e immagina finalmente «la fine della transizione italiana». E pure Berlusconi, seppure nelle conversazioni private con i suoi parlamentari, arriva a parlare di «nuova stagione» alle porte perché ora Veltroni «mi rispetta» e «non sono più un nemico pubblico». D’altra parte, solo qualche giorno fa, era stato lo stesso Mastella a dire che dopo l’incontro sarebbe «venuto meno» quello che «per oltre un decennio è stato il nemico pubblico numero uno della sinistra». Certo, vedere il Cavaliere e Veltroni stringersi la mano sorridenti dopo un’ora e venti minuti di faccia a faccia nell’ufficio del vicesegretario del Pd Franceschini alla Camera un certo effetto lo fa. Come pure, colpisce ascoltare l’ex premier aprire con tanta decisione al Vassallum, il sistema proporzionale con correttivi maggioritari che piace a Veltroni. Perché, spiega, «abbiamo cercato di essere pragmatici» e quel modello «presenta punti di convergenza e altri di divergenza» che sono però «risolvibili». Un ottimismo cui fa eco il segretario del Pd che parla di «convergenze rilevanti». Con buona pace di Prodi, sempre più stretto da quello che da ieri è ufficialmente l’asse Veltroni-Berlusconi. Tanto che se il premier fa capire di non gradire affatto la battuta che gli riserva il Cavaliere sulle minacce di Bin Laden («se Prodi mi ha chiamato per esprimermi la sua solidarietà? No, speriamo che non abbia invece telefonato a Bin Laden»), il segretario del Pd non esita a parlare di «condivisione». E non nasconde la sua soddisfazione per un incontro che lo rilancia come leader indiscusso del centrosinistra. E con buona pace anche di Fini, che definisce «negativa l’indisponibilità» di Berlusconi a «una legge elettorale che preveda la dichiarazione delle alleanze prima del voto». Indisponibilità che il Cavaliere non manifesta affatto e che valgono al leader di An una secca replica. «Non siamo noi ad essere indisponibili - dice Bonaiuti - ma la controparte».
Via al dialogo, dunque. Con Berlusconi che passeggiando a sera per il centro di Roma parla di un Veltroni «corretto» e spiega che «l’accordo ci può essere». Anche per questo, rinuncia a porre «come pregiudiziale» la fine della legislatura e la «data delle elezioni». L’apertura di cui il segretario del Pd ha bisogno per poter sostenere anche rispetto a Prodi e ai suoi alleati che «il dialogo è possibile». In verità, nel faccia a faccia cui erano presenti anche Letta e Franceschini (l’ex sottosegretario alla Presidenza aveva già avuto in mattinata un lungo colloquio con Bettini, ambasciatore) la questione sembra sia stata toccata. Con una convergenza. Nel caso in cui il governo resti in sella, Veltroni avrebbe convenuto sulla possibilità di votare nel 2009 ma portando prima a casa anche le riforme istituzionali (non a caso, dice che «si possono fare in dodici mesi»). Dovesse cadere Prodi (eventualità che il Cavaliere continua a non escludere tanto che parla di «maggioranza già implosa» di fatto), l’ex premier si sarebbe detto disponibile a un esecutivo che faccia solo la riforma elettorale per poi andare alle urne con il nuovo sistema elettorale. Anche se in conferenza stampa il Cavaliere ribadisce che per le riforme istituzionali «non ci sono i tempi tecnici» pure se «sui contenuti saremmo favorevoli», visto che «si torna a parlare delle stesse proposte che erano contenute nella nostra riforma della Costituzione». Insomma, come dice un deputato di casa a Palazzo Grazioli, l’incontro ha «gettato le basi per andare a votare nel 2009». Anche se a tarda sera Cicchitto smentisce: «Per Berlusconi resta fermo l’obiettivo di far cadere il governo quanto prima e votare nel 2008».
Il sistema elettorale che si va delineando, dunque, potrebbe essere un mix tra spagnolo e tedesco (un 65-70% del primo e un 30-35% del secondo, avrebbe proposto il leader di Forza Italia). Con più circoscrizioni di quante ne prevede il Vassallum (circa 40), di modo che siano favoriti i partiti più grossi. E infatti Berlusconi ribadisce più volte la sua «disponibilità a una nuova legge elettorale per un bipolarismo autentico» che «possiamo avere solo se si confrontano due grandi partiti o federazioni di partiti».
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