Harding: «La Scala? Non ho paura Prima dirigo e poi giudicatemi»

L’inglese scoperto da Abbado dice: «Avevo alle pareti i suoi poster»

Pietro Acquafredda

da Roma

In questi giorni, Daniel Harding è a Roma, per il Festival «Abbado - Lucerna Festival Orchestra» che si svolge all'Auditorium. Stasera (e anche ieri), dopo Abbado, tocca a lui dirigere due concerti. Ma c'è grande attesa soprattutto per il suo debutto alla Scala, nella serata inaugurale del 7 dicembre, la prima dopo l'era Muti, quando dirigerà Idomeneo, re di Creta di Mozart. Daniel Harding, inglese di Manchester, trent'anni appena compiuti, sposato con una violista dell'orchestra Mahler, due figli, l'ultimo di sette settimane, tifoso del Manchester: «La penultima volta che ho diretto a Roma, appena terminato il concerto, sono fuggito in taxi all'Olimpico per la partita Roma-Milan: Roma 1 Milan 3». Amante della buona cucina italiana e della pizza: «Sono un tormento per i pizzaioli, ho sempre qualche cosa da domandare e qualche contestazione da fare», sembrerebbe un ragazzo normale, un ragazzo inglese, come tanti altri. Invece no. Daniel Harding è un direttore d'orchestra che dirige da una quindicina d'anni - quindici sì - nonostante la giovane età; quando ne aveva ventuno ha diretto i mitici Berliner Philharmoniker, e da allora molte altre importanti orchestre; dal prossimo anno sarà direttore ospite principale della London Symphony Orchestra; mentre ora è direttore musicale della Mahler Chamber Orchestra, orchestra alla quale immancabilmente si associa il suo nome e la sua carriera. Ma il suo nome lo si lega assai più a quello di Claudio Abbado, cui Harding deve la sbalorditiva precoce carriera di direttore, sebbene i primi passi li abbia mossi all'ombra di Simon Rattle, il suo scopritore.
Perché non riesce ancora a tagliare il cordone ombelicale che lo lega ad Abbado?
«Conoscevo Abbado prima di incontrarlo. La mia camera era tappezzata di sue foto, seguivo i suoi concerti in tv, e frequentando alcuni amici che suonavano nella European Community Youth Orchestra riuscivo qualche volta ad assistere alle prove. Osservandolo dirigere, decisi che sarei diventato direttore anch'io. Poi nel 1995 divenni suo assistente a Berlino. Claudio ha parlato sempre bene di me, mi ha guardato le spalle, con me è stato generoso ed è nata una grande amicizia. E lui ancora mi ha affidato la Mahler».
Deve a lui anche la benedizione per il prossimo debutto alla Scala, anche se Lissner lo conosceva già da Aix-en-Provence.
«Gli sono grato. Ma il titolo inaugurale della stagione alla Scala l'ho proposto io a Stéphane (Lissner, il sovrintendente della Scala), lui non era d'accordo, ho dovuto convincerlo, mentre ho trovato subito entusiasta il regista Luc Bondy. Avrei dovuto dirigere la Filarmonica anni fa, ma poi non se ne fece nulla. E ora dirigere alla Scala è un grande privilegio ed anche una bella responsabilità. Ma per me non è diverso dirigere a Milano o a Cardiff».
Perché non ha optato per un'opera più conosciuta di Mozart, come il «Così fan tutte»? A Milano avrebbe potuto prendersi la rivincita, dopo la brutta esperienza parigina.
«Voglio rivelare per la prima volta come sono andate le cose. L'ostilità dell'orchestra dell'Opéra è stata evidente dal mio arrivo. Avevo distribuito le parti agli orchestrali, segnandovi alcune indicazioni. Erano le parti della Mahler Chamber Orchestra, e la mia partitura era quella di Abbado, dunque... Ma loro le hanno cancellate, dicendo che le arcate erano quelle di un'orchestra di bambini. Ho tentato di mediare, senza risultati, e allora ho preso la decisione di lasciare, non me la sentivo di passare alcune settimane a lavorare con musicisti ostili. Se non posso fare musica come voglio, lascio; ma prima d'ora non è mai accaduto».
Milano. Non crede sia arrivato troppo presto questo importante esordio scaligero?
«Come si fa a dire che è arrivato troppo presto. La vita è una sola, se ti offrono una simile opportunità , perché rifiutarla? E poi, finché non dirigo, come posso dire se ho fatto bene o male? Posso anche sbagliare; ma, per mia fortuna, non ammazzo nessuno».


Non le sembra che in giro ci siano troppi direttori molto giovani e già lanciatissimi?
«Mi dispiace, ma trovo assai bello che ci siano in giro tanti bravi direttori giovani, più giovani di me: Dudamel, Ticciati, Franck ed altri. Alcuni li conosco bene e fra noi c'è grande solidarietà, come del resto c'è fra grandi direttori. Non ho mai sentito Abbado dir male di Muti; semmai lo fanno gli abbadiani e i mutiani, ma non i diretti interessati».

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