I colori, il fondale, perfino la colonna sonora - con gli spari isolati e certe lugubri, insistite raffiche di mitra verso il cielo tinto dei colori invernali - sembravano gli stessi degli anni bui, quelli della guerra civile che deturpò il volto di Beirut, negli anni Ottanta.
Sparavano intorno a piazza dei Martiri, ieri, mentre dense volute di fumo nero si alzavano dai cassonetti dell'immondizia e dai copertoni incendiati dai fan dell'opposizione sciita lungo quella «linea verde» che dal 1975 al 1990 spaccò in due la città. Colpi d'arma da fuoco sono risuonati anche nel nord del Paese, intorno a Tripoli, e nella regione settentrionale dell'Akkar, dove un sostenitore del governo di Fuad Siniora è morto e altri quindici militanti di opposte fazioni sono rimasti feriti. A sera, quando arriva l'ora dei bilanci, i Tg raccontano che i morti in tutto il Paese sono 5, e settanta i feriti. Una prova di forza vera e propria, decisa dai vertici della fazione sciita anche per valutare sul campo la risposta e la fedeltà dell'esercito alle istituzioni.
Lo sciopero generale voluto e imposto con la forza da Hezbollah per spingere il governo alle dimissioni ha paralizzato il Libano, accentuando una crisi che dura ormai da due mesi e passo dopo passo vede allargarsi il fossato tra le due principali anime del Paese.
Doveva essere uno sciopero pacifico. Ma la promessa dei militanti di Hezbollah si è risolta «nel minacciare e terrorizzare la popolazione e la nazione», per dirla con le parole scelte dall'ufficio stampa del premier Siniora. «È una rivolta pacifica e civile», ha ribattuto sheikh Naim Kassem, numero due del «partito di Dio», mentendo per la gola. E a Samir Geagea, leader cristiano governativo che nello sciopero generale non aveva visto nulla che avesse a che fare con il diritto democratico dei lavoratori, ravvisandovi piuttosto una sorta di prova generale di colpo di stato, ha risposto Hussein Rahhal, portavoce di Hezbollah. «Sono loro che tentano un colpo di Stato nel Paese», ha detto uno schiumante Rahhal, minacciando (a metà pomeriggio) di andare avanti a oltranza con lo sciopero. In serata però, sembra prevalere la ragione: il portavoce del movimento sciita annuncia la «sospansione» dello sciopero.
La tensione resta comunque alta mentre domani, a Parigi, si apre (meglio: dovrebbe aprirsi) la conferenza dei Paesi donatori che hanno promesso di aiutare il Libano a risollevarsi dopo la breve, bruciante guerra fra Israele ed Hezbollah dell'estate scorsa. Ma non sono esattamente queste (spari, incendi, tensione alle stelle) le premesse che indurranno i Donatori ad allargare i cordoni della borsa, quando il sinedrio sciita filoiraniano, più che a ricostruire, pare intenzionato a far saltare il banco e ad abbattere un governo (lo ha detto ieri lo stesso portavoce di Hezbollah) «che prende soldi dalla Cia». Ovvio che in questa situazione il premier Siniora abbia rinunciato a mettersi in viaggio per la Francia, mentre il Libano rischia di bruciare di nuovo.
Sin dalle prime ore del mattino, Beirut - massicciamente presidiata dall'esercito - è sembrata una città sull'orlo della guerra. Bloccato il traffico lungo le principali arterie, torri di fumo nero che ricordavano quelle di Bagdad sotto assedio, chiusa dai dimostranti la strada per l'aeroporto, barricate di sabbia e pietrisco ovunque, mentre i soldati, che presidiavano massicciamente la città, sono dovuti intervenire diverse volte per separare gruppi rivali di cristiani e musulmani che si sono scontrati a Nahr al-Kalb e a Nahr al-Mut, sobborghi nordorientali di Beirut, e sulla corniche al-Mazra, nella zona occidentale della capitale.
Alta era la tensione intorno al quartiere cristiano di Ashrafiyye e a quello sciita di Basta. Ma i soldati sono dovuti intervenire in forze anche per separare folle di manifestanti filogovernativi sunniti che minacciavano di scontrarsi in campo aperto con i rivali sciiti di Amal, partito alleato di Hezbollah.
Nel cuore di Beirut ovest, invece, ripetuti scontri con sassaiole e spari in aria da parte dell'esercito si sono verificati nei pressi del viale al-Mazraa. Su un lato, i seguaci sciiti di Hezbollah e Amal. Sull'altro, i sostenitori del partito sunnita al-Mustaqbal guidato da Saad Hariri, leader della maggioranza parlamentare antisiriana e figlio dell'ex premier Rafiq Hariri, assassinato nel 2005.
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