«I 90 anni di Colmar nati così per sport»

Un nome più lombardo di Mario Colombo non esiste sulla faccia della terra. Anche la storia dell'azienda di cui è presidente ha il sapore semplice e al tempo stesso sofisticato di uno squisito risotto alla milanese o della classica cotoletta che, sia detto una volta per tutte, è la parente più ricca e generosa di quella viennese. Fondata 90 anni fa dal nonno che per inciso si chiamava come lui, è una delle più importanti realtà industriali della Brianza.
Novant'anni e non sentirli: era questo l'obbiettivo della Colmar?
«L'azienda si chiama in realtà Manifattura Mario Colombo & C. Colmar è l'acronimo di Colombo Mario, il marchio creato quando passammo dalla lavorazione del Feltro per cappelli e ghette all'abbigliamento sportivo».
Cappelli e ghetto?
«Certo, la Brianza in generale e Monza in particolare rappresentava un polo produttivo strategico per i cappelli. Nel febbraio del 1923 il nonno che era dipendente del cappellificio monzese dove faceva le cosiddette propiagge, ovvero le finiture dei cappelli, diede le dismissioni e aprì un laboratorio. Comprava il feltro e con i coni perfetti faceva i copricapi, con quelli che non venivano bene confezionava le ghette. Allora si usava così».
Allo sci quando si arriva?
«Nel 1947. Eravamo amici dell'allora direttore tecni o Della nazionale di sci, Gianantonio Fossati Bellani. Da un servizio per la federazione nacque un business. Tra l'altro allora il grande campione internationale era Zeno Colò, per cui mia nonna inventò copiando dai busti delle signore la celebre guaina che cambiò la faccia all'abbigliamento sciistico».
È il primo dei vostri primati?
«Ne abbiamo avuti tanti, uno dei più importanti fu all'inizio degli Anni Sessanta la talloniera con inserto elastico che permetteva di infilare i pantaloni negli scarponi. Ma a differenza di quelle dei nostri concorrenti stranieri (lui non lo dice ma sta parlando dei celebri bogner, i pantaloni tedeschi da sci, ndr) non facevano venire le vesciche perché avevano le cuciture extrapiatte. Poco dopo sviluppando gli scarponi con i ganci abbiamo lanciato la finestra pressofusa per agganciare le braghe alle scarpe».
Quando arrivano i momenti d'oro della valanga azzurra?
«Alla fine degli Anni Sessanta Vuarnet fa nascere la valanga azzurra. Il momento d'oro arriva nel '73-'74 con le Olimpiadi di Innsbruck. In quanto fornitori ufficiali della federazione abbiamo avurto l'onore di vestire Thoeni, Schmaltz, Gross, Radici, Stricker e De Chiesa, abbiamo regalato loro una serie di tenute da gara che fecero furore».
All'epoca avevate una formidabile donna prodotto, è vero?
«Sta parlando di Grazia Berola, che coordinava il nostro ufficio stile? Sì è stato un persoinaggio chiave, anche se noi quando ci siamo lanciati nel mondo dello sport abbiamo subito capito che non si poteva scherzare. Siamo stati per molto tempo i distributori di Kasstlee, Dielan, delle tende da campeggio Gianet, di Adidas e Lacoste che ancora oggi distribuiamo.

Anton Kasstlee per dirne uno è stato il primo a utilizzare la fibra di carbonio negli sci e noi fino agli anni Sessanta avevamo la galleria del vento per testare l'aerodiunaminìcità dell'abbigliamento».
La cosa di cui è più orgoglioso?
«Ai nostri dico sempre: dovete vendere le nostre giacche a vento girate. Perché solo così si capisce cosa c'è dentro».

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