Difficile star dietro a Vinicio Capossela, che non è solo «il re della cantina», come si definisce scherzosamente, ma è pure uno dei più imprevedibili cantastorie italiani. Adesso pubblica Sciusten Feste n.1965 che ha un mondo dentro già a partire dal titolo: «Lo ha scritto a penna mio padre Vito ed è un ricordo a orecchio (in realtà si riferisce a Schützenfest - ndr) della festa con luna park più smisurata vista nella sua gioventù a Hannover».
Tecnicamente, sarebbe un disco di Natale, visto che contiene «canzoni che per me hanno a che fare con la festa, a parte tre che sono state scritte appositamente». Però, concretamente, è «un concerto delle feste con la band delle feste» e il Natale c'entra soltanto perché «25 anni fa abbiamo iniziato a fare concerti nel periodo delle feste». L'album è il frutto di quei concerti, tenuti al Fuori Orario a Gattatico vicino ai binari della ferrovia tra Reggio Emilia e Parma. Chapeau.
Nella totale monotonia di quasi tutta la musica che viene pubblicata, Sciusten Feste n.1965 è l'apoteosi della diversità, dell'incongruenza, della dissonanza armonica per dirla come gli intenditori. Vinicio Capossela insomma riesce a stupire mescolando il Dankeschoen di Wayne Newton (che qui diventa Grazieschoen) con il Friscaletto che in realtà è il brano Eh cumpari!, classico americano anni '50 di Julius La Rosa e intepretato pure da Connie Corleone (Talia Shire) nella colonna sonora del Padrino. A rendere l'idea della «dissonanza» c'è anche, appunto, il titolo visto che la Schützenfest si tiene in estate, mica a Natale, e «invece dell'asino e del bue c'erano i würstel» sorride Capossela. In più nel disco ci sono lo spirito di Tom Waits, di cui Capossela fa prima cover (Christmas card from... che qui diventa Charlie) e pure il tocco di Marc Ribot, che di Tom Waits è gigantesco chitarrista.
Alla fine, un'atmosfera che ieri sera si è ascoltata al Teatro Verdi di Cesena per la prima di un tour che passerà da Carroponte il 13, 14, 15 e 16 dicembre e si chiuderà l'11 febbraio a Zurigo dopo concerti a Berlino e Parigi. A dimostrazione che Capossela non ha confini. Per fortuna.
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