In quel concentrato di storia e di bellezza che è il Quirinale, ieri si è svolto l'incontro tra il presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi, e il pontefice Benedetto XVI. L'amabilità dei gesti, inseriti in un cerimoniale perfetto, non ha oscurato il valore simbolico dell'incontro e quindi anche il suo significato.
Benedetto XVI ha fatto un vero discorso politico rivolto ai politici, un intervento che pone l'essere umano, nella sua integralità, di fronte alla responsabilità di considerare i valori cristiani come valori universalmente umani dai quali non si può prescindere nella vita civile. A due settimane dal referendum sulla fecondazione assistita, il Papa non ha fatto sconti. «Coerenza assoluta», ha commentato Silvio Berlusconi.
Le polemiche sono già scoppiate. I «laici doc» parlano di invasione di campo, sebbene il Papa non abbia fatto un discorso «clericale». La sua formula della «sana laicità» farà discutere ma potrebbe aiutare a strappare la politica italiana dalle polemiche quotidiane sui conti economici e sulle strategie elettorali per consentire, a chi vorrà farlo, di dare contenuti profondi alle aggregazioni in gestazione. In particolare, il suo sintetico messaggio potrebbe dare forti contenuti al quadro del partito unitario del centrodestra di cui, per ora, si vede solo la cornice. Perché, come ha detto il Papa, «la cultura italiana è una cultura intimamente permeata di valori cristiani». Su questo passa la discriminante tra le forze politiche e culturali del nostro Paese, inquinate da vecchie formule nominalistiche per cui un partito o è laico o è cattolico e non ammette la compatibilità dei due. È, questa, una visione della laicità, che potremmo definire «statica».
Il presidente Ciampi ha impostato il suo discorso sul rapporto paritario tra Stati, presentandolo come «un modello esemplare di armoniosa convivenza e di collaborazione» e fin dall'inizio ha sottolineato la «laicità della Repubblica italiana», citando l'articolo 7 della Costituzione e il Concordato rinnovato nel 1984. Ma Papa Ratzinger è andato oltre nel riscoprire le basi delle relazioni tra la Chiesa e lo Stato italiano, addirittura ancorandone il principio enunciato dal Concilio Vaticano II ai Patti Lateranensi, che risalgono al 1929. A nessuno è sfuggita la definizione papale di «sana laicità» dello Stato, che non esclude «quei riferimenti etici che trovano il loro fondamento ultimo nella religione», che è cosa diversa dal «credo religioso di ciascuno» riconosciuto dal presidente Ciampi.
Benedetto XVI fa riferimento infatti a valori culturali profondi, alla millenaria storia italiana, Ciampi invece mette l’accento sul rapporto istituzionale Chiesa/Stato pur riconoscendo i meriti sociali della presenza capillare del clero nella vita del Paese.
Il Presidente della Repubblica ha ricordato che l'Italia è uno dei Paesi fondatori dell'Unione Europea e che il suo futuro è ad essa legato, e sebbene il progetto sia «oggi sottoposto ad una prova impegnativa», non è un'utopia. Non ha parlato di «radici cristiane dell'Europa», preferendo affermare che «il patrimonio cristiano e umanistico della civiltà italiana è un elemento unificante della identità europea». Più diretto e impegnativo su questo tema Papa Ratzinger, quando ha affermato che «l'Italia può recare un contributo validissimo in particolare all'Europa, aiutandola a riscoprire quelle radici cristiane che le hanno permesso di essere grande nel passato e che possono ancora oggi favorire l'unità profonda del Continente».
Dopo la dissoluzione dei regimi comunisti, che Giovanni Paolo II combatté con l’arma della fede, utilizzando il prestigio del Papato, Benedetto XVI rilancia il ruolo della Chiesa, nella prospettiva che Giovanni XXIII definì in una celebre enciclica «madre e maestra delle genti». Benedetto XVI non vuole che la Chiesa venga espulsa dalla Storia.
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