I frati dettano le condizioni per dare la moschea all’Islam

I frati dettano le condizioni per dare la moschea all’Islam

(...) nel gesto dei frati. C'è la volontà di convertire i fratelli islamici alla vera fede. Lo dice chiaramente padre Andrea Caruso nella lettera scritta a Franco Frizzi, nipote di Suor Maria Donata, la co-fondatrice insieme a padre Umile del Sorriso Francescano nel 1948. Alle rimostranze dell'uomo, che giudica un'offesa alla memoria di sua zia l'iniziativa dei frati francescani, padre Andrea, dopo aver riconosciuto «che non spetta a noi trovare la soluzione per la costruzione della moschea», risponde con parole che non si prestano a molte interpretazioni: «Da seguaci di San Francesco abbiamo teso la mano del dialogo evangelico ai nostri fratelli musulmani come fece San Francesco ai suoi tempi, ma con lo scopo di convertirli alla vera fede o perlomeno rinunciare alla matrice violenta del loro credo». Niente meno. Anzi, padre Andrea è ancora più esplicito qualche riga dopo, quando spiega che «la trattativa, come è già avvenuto in sede nazionale, porterà le comunità islamiche a scoprire le loro carte». Perché, «se le comunità musulmane si rifiutano di firmare il Protocollo d'intesa con lo Stato italiano, protocollo che li invita a rinunciare alla “parte violenta” della loro professione di fede, non solo a Genova, ma in tutta Italia, non sarà più possibile per loro costruire una moschea». Non tanto un gesto di carità, nel segno del dialogo interreligioso, quella ipotizzata dal frate del Sorriso Francescano, quanto piuttosto uno strategemma per smascherare la componente fondamentalista dell'Islam, e dello stesso Ucoii che per Magdi Allam si nasconderebbe dietro alla realizzazione della moschea genovese.
Difatti padre Andrea conclude la lettera, scrivendo: «In definitiva la nostra tesa di mano costringe la comunità islamica a una conversione o almeno a un inizio di conversione». Altro che venire incontro al quartiere di Cornigliano, trovando una soluzione alternativa al primo sito della moschea, in «un ambiente più defilato e con viabilità più scorrevole di via Coronata», come recitava il comunicato stampa dei frati, il 16 ottobre scorso. Il Sorriso Francescano vola molto più alto. Ma le parole di padre Andrea non convincono il destinatario della missiva. Che rivela altri particolari inediti del dialogo col frate: «Al telefono padre Andrea mi ha confessato che solo uno o due frati francescani sono favorevoli all'ipotesi della moschea, mentre tutti gli altri sono contrari». Quel che è certo, per Franco Frizzi, è che sua zia mise tutta la sua liquidazione di insegnante nelle casse del Sorriso Francescano, «per finanziare le iniziative dell’istituto tra cui l'acquisto di terreni, da quello di Spezia a quello di Campi, con il solo scopo che il denaro servisse all'assistenza dei bimbi poveri e abbandonati».
Dopo aver fondato il Sorriso Francescano, suor Donata e padre Umile diedero vita alla colonia di Suvero, in provincia di Spezia, comprando anche altri terreni a Genova con le stesse finalità. Il capannone di Campi, sopra Castorama, dove dovrebbe sorgere la moschea, è uno di questi.

«Come nipote di suor Maria Donata - rincara l'uomo - protesto per un'iniziativa che oltre a essere una violazione dell'intenzione primaria della co-fondatrice, è anche un'offesa alla sua memoria». D'altra parte: «non sono i frati a dover trovare una soluzione al problema del luogo di culto islamico. Semmai dovrebbe pensarci il Comune». Che, invece, se ne lava pilatescamente le mani.

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