I giornalisti a Clooney: faccia un film contro Silvio

VeneziaAl plebiscito critico per i documentari di Michael Moore e Oliver Stone, s’è aggiunto quello per The Men Who Stare At Goats («Gli uomini che fissano i montoni») di Grant Heslov, satira militare prodotta e interpretata da George Clooney che sarà distribuita da Medusa. Clooney è come Tornatore: se in Italia pranza anche con Veltroni, lavora solo per Berlusconi.
Non tutti i giornalisti ci arrivano. «Quando farà un film contro Berlusconi?» - gli chiedevano ieri in due. Lui sorrideva ed eludeva. Eludeva anche l’invito di un indiscreto della testata Gay.it: «Ammetta di aver amato Max!» (ovvero il suo maiale, defunto ndr). E l’inviato delle Iene: «George, scegli me! Sposami!». E calava i calzoni. Cattivo gusto alla Mostra del cinema? Sì, ma della tv che aveva accreditato il calabrache.
Torniamo alle cose serie: si possono dire anche scherzando, come appunto fa The Men Who Stare at Goats. Suoi archetipi, classici come Mash di Robert Altman, Comma 22 e La guerra di Charlie Wilson di Mike Nichols, Hair di Milos Forman... Simile per corrosività, ma non per taglio, era anche Three Kings di David Russell, che sempre Clooney presentò al Festival di Berlino nel 1999. Però quel film era ambientato nella prima guerra neocoloniale contro l’Irak. The Men si svolge nella seconda, almeno per l’epilogo.
Il nucleo è infatti precedente e si dipana fra sconfitta americana nel Vietnam, sconfitta sovietica nell’Afghanistan e rigurgiti neocoloniali post-89 e post-2001. In quel periodo, per riprendere l’iniziativa strategica, l’esercito americano organizzò - sul modello dei sovietici - unità di guerra parapsicologica, impiegate anche - Clooney stesso in The Men lo ricorda - nel caso del rapimento in Veneto del generale Dozier. Del resto s’era già ricorsi, con meno fortuna, a una seduta spiritica per trovare Aldo Moro rapito. The Men non è dunque fantapolitica: è storia. La parte romanzata sviluppa quella reale.
Ieri Clooney aveva la mano destra bendata. «Ho sfondato una porta di cartone», spiegava. A chi gli chiedeva se non avesse cercato di passare attraverso un muro, come il suo personaggio nel film, rideva. Nemmeno l’insistenza per l’outing l’aveva turbato. Eppure al Festival di Berlino del 2002 diede dello scemo a chi definiva noioso Solaris di Soderbergh, da Clooney prodotto e interpretato. E al Lido, per Michael Clayton, strigliò la giornalista che gli rinfacciava la pubblicità per il Nescafè in contrasto con l’impegno per il Darfur.
A proposito: l’anno scorso, nella cena della sua associazione Not on my Watch («Non durante la mia guardia»), Clooney fu vero padrone di casa, quando il suo amico Brad Pitt, il più noto a volerne l’outing, arrivò a cena finita. Ieri sera altra cena, promossa da Medusa al Casinò di Venezia: l’invito è stato il più ambito della Mostra. È comprensibile. Clooney ha brio e garbo. Per esempio, e restanto alla conferenza stampa, all’inquisitore che gli chiedeva «Odia i giornalisti?», ha rammentato che giornalista è stato suo padre e per quarant’anni e che proprio gli aveva ispirato Good Night, and Good Luck (Mostra di Venezia, 2006), film tutto suo, perché ne era produttore, sceneggiatore, regista, comprimario.
Sebbene non avesse avuto il Leone d’oro che meritava, Clooney andò a ritirare il premio per la sceneggiatura di quel film, quando in una precedente edizione della Mostra, per Buongiorno, notte, Marco Bellocchio aveva mancato di questa umiltà.


Quanto alla politica, Clooney mai ha detto - come invece fece con me Bernardo Bertolucci quando girava per Medusa The Dreamers, altro film passato per la Mostra - di sperare nella rovina di Berlusconi, cioè del suo distributore italiano. Certo, ha votato per l’«abbronzato» Obama. Vista l’alternativa, pero, l’ha fatto anche gente del Ku Klux Klan...

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