da Roma
«È un momento particolarmente travagliato della nostra vita istituzionale», dice Romano Prodi alla cerimonia d’inaugurazione dell’Anno giudiziario nel Palazzaccio della Cassazione. Tra ermellini e grisaglie scure questa è la prima uscita del premier dimissionario, dopo la sfiducia in Senato. E indossa le vesti di un altro che le dimissioni le ha date ancor prima, per motivi giudiziari che hanno determinato la caduta del governo: il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, indagato dalla procura di Santa Maria Capua Vetere. Prodi, lui stesso indagato ma dalla Procura di Catanzaro, ha assunto l’interim e parla di fronte al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che subito dopo inizierà le consultazioni al Quirinale per il nuovo governo.
Non è un buon momento per i rapporti tra politica e magistratura, anzi ci sono «tensioni clamorose» per Prodi. Le sue parole suonano dure quando richiama le toghe ad esercitare «un potere disinteressato» e a ricordare che maneggiano «armi capaci di produrre danni irreparabili ai cittadini se sono usate impropriamente». Avverte: «Se taluni magistrati utilizzano gli strumenti di una investigazione e dell’azione fuori dei casi strettamente previsti dalla legge, saremo di fronte a fenomeni di vera e propria distorsione per non dire di eversione del tessuto istituzionale». Ancora: «Un reato c’è o non c’è, non esistono “quasi reati”» e la sanzione penale è «l’extrema ratio». Poi, una stilettata ai politici, che non devono «pensare e agire come se l’investitura popolare abilitasse a qualunque trasgressione». Pesante è la critica di Prodi agli «inaccettabili» tempi lunghi dei processi, con l’esempio di udienze fissate al 2013.
La giustizia-lumaca e la sensazione di mancanza di certezza della pena rende conveniente per i delinquenti, italiani o stranieri, operare in Italia e così si allontanano anche gli investimenti dall’estero, conferma la relazione sulla giustizia che oggi leggerà il presidente reggente della Corte di Appello di Roma, Claudio Fancelli. Per il rapporto Eurispes, tra il 2005 e il 2006 si è avuto un incremento dei reati, soprattutto di strada, del 7,5 per cento con un sensibile allarme sociale per la sicurezza.
Il primo presidente della Cassazione, Vincenzo Carbone, spiega che negli ultimi 4 anni è stato «esponenziale» l’incremento (800 per cento) dei costi pagati dall’erario (41,5 milioni di euro dal 2002 al 2006) per indennizzare i cittadini che hanno subito cause senza fine. I magistrati «non vogliono essere una casta», dice Carbone, che invoca le riforme e critica i «processi mediatici». Contro il protagonismo, soprattutto in tv, si scaglia anche il Procuratore generale della Cassazione, Mario Delli Priscoli. Nel 2007 sono aumentate del 50 per cento rispetto al 2006, le azioni disciplinari nei confronti di magistrati per illeciti deontologici. Tutte le critiche, sottolinea, sono legittime se non arrivano alla denigrazione. La crisi d’efficienza, colpevole della «scandalosa» durata dei processi, però, è da legare più alle troppe leggi e alle disfunzioni di sistema che alle responsabilità delle toghe.
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