Con i Savoia non staremmo certo peggio

Caro direttore, mentre ascolto alla radio la cronaca delle celebrazioni per i 70 della Repubblica (grondanti di retorica ma vuote di significato), mi chiedo che cosa ci sia effettivamente da celebrare. Ma è proprio necessario che tutti gli anni siano stancamente ripetuti i soliti riti commemorativi (sfilate, corone d'alloro, discorsi)?. Inoltre non c'è proprio alcunchè da festeggiare, perché il passaggio dalla monarchia alla repubblica non ha portato vantaggi. L'Italia è retta da personaggi sempre differenti che non hanno il tempo di lasciare traccia nella storia del Paese. Al di là delle infelici vicende degli anni 1940-45, è indubitabile che la dinastia Sabauda abbia avuto il merito di ottenere l'unificazione italiana, inserendo il neo Regno d'Italia nel novero delle grandi nazioni europee, dopo secoli di dominazioni straniere.

Franco Ferrara

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Caro Ferrara, come avrà notato questo giornale non si è unito al coro retorico delle celebrazioni del 2 giugno, data della quale non neghiamo la rilevanza storica. Che come ormai accertato è comunque figlia di un broglio elettorale. Nonostante fosse stato deciso a tavolino dagli americani che repubblica doveva essere, la maggioranza degli italiani nel segreto dell'urna optó, sia pure di poco, per la monarchia. Del resto, salvo brevissimi e fallimentari intervalli, era quasi duemila anni che in Italia comandavano ovunque re, imperatori e principi. Non sono tra gli estimatori di Vittorio Emaniele III e non mi sarei fatto troppe illusioni su Umberto. Ma certo i Savoia hanno pagato oltre misura gli ultimi vent'anni di un lungo regno al quale noi italiani dobbiamo praticamente tutto, tanto che le nostre piazze e vie sono piene di monumenti e targhe che giustamente li celebrano. Gli spagnoli, che pure hanno avuto Franco, non si sono pentiti di aver tenuto i Borboni.

Penso, credo di capire come lei, che se ci fossimo tenuti i Savoia, non staremmo peggio. E avremmo l'orgoglio, oggi perso, di appartenere a una storia veramente è storicamente comune, non alla finzione della retorica partigiana.

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