I soldati per l’Irak addestrati a Hollywood

Esercitazioni iperrealistiche in finte città arabe costruite nel deserto del Mojave dove ci sono 45 gradi

La dura regola del combattimento s’imparava un tempo sul teatro di guerra. Oggi per sopravvivere si porta la guerra a teatro. Succede in America, succede a Medina Wasl, un pugno di case e moschee che sembrano Bagdad, ma sono una dépendance di Hollywood nel deserto del Mojave, tra Nevada e California. Per ricreare a di colpi di stucco e pittura tredici scenari di guerra virtuale il Pentagono ha assoldato direttamente i tecnici della Paramount Pictures. Da quelle quinte - a 250 chilometri da Hollywood - passano ogni anno 50mila soldati chiamati per due settimane a un assaggio delle loro future battaglie. Il salto nei 45 gradi del Mojave con giubbotto antiproiettile e trenta di chili d’equipaggiamento non è solo un bagno di sudore e fatica. Lì non si trascurano nemmeno gli odori. «Quando ci sono venuto ho sentito salire nel naso lo stesso lezzo di carne arrosto, legno bruciato, polvere ed escrementi che respiri da quelle parti», racconta il sergente Thavon Phavivong della terza Brigata di cavalleria.
Il meglio arriva quando una Humvee salta in aria all’ingresso del villaggio. Il boato studiato dosando cariche di fuochi d’artificio è assordante come quello vero mentre una pioggia di tappi di sughero investe come schegge passanti e comparse. Sul terreno un handicappato senza gambe, assoldato per la rituale finzione, si trasforma in un moncherino insanguinato. Un attimo dopo una colonna della Terza brigata di cavalleria scambia colpi furiosi con gli insorti. Più potente delle Browning da 50 millimetri che fiammeggiano dalle torrette è la Pistola di Dio, la volontà dell’invisibile regista che decide la battaglia. Spetta a lui attraverso le informazioni di 310 osservatori di decidere le conseguenze di un attentato o di annichilire con un raggio laser il militare troppo azzardato.
Scontri, vittorie e sconfitte pur svolgendosi nell’ambito di 112 scenari predeterminati non seguono mai uno svolgimento scontato. Fortuna e mala sorte delle unità in azione sul campo di battaglia virtuale dipendono non solo dalle loro doti di combattenti, ma dalla capacità d’interagire con i 250 attori d’origine e madre lingua araba pagati 2.400 dollari per impersonificare, per due settimane, la popolazione civile. Brutalizzare e terrorizzare i civili significherà fronteggiare ondate d’attacchi suicidi, un’eccessiva collaborazione attirerà le quinte colonne di Al Qaida pronte a colpire alle spalle le unità americane.

Per il sergente Phavivong e per tanti militari quei quindici giorni alle lanes, «al teatro», come lo chiamano loro, sono anche un divertente gioco. Ma sarà l’ultimo e il più prezioso prima di buttar la vita nella roulette della guerra vera.

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