I super poteri dei sindaci aboliti per sentenza

RomaDalla Consulta arriva un no ai sindaci-sceriffo. La Corte costituzionale ha stabilito che gli ampi poteri forniti ai primi cittadini dal «pacchetto sicurezza» varato dal governo Berlusconi con la legge 125/2008 sono illegittimi, in particolare nella parte che consente l’adozione di norme a tempo indeterminato per prevenire pericoli per la sicurezza urbana, come le ordinanze anti-accattonaggio e anti-lucciole. I giudici della Consulta ritengono che la legge violi gli articoli 3, 23 e 97 della Costituzione, che regolano rispettivamente l’eguaglianza dei cittadini, la riserva di legge e il principio di legalità sostanziale in materia di sanzioni amministrative. «Le ordinanze dei sindaci - scrivono i giudici - incidono sulla sfera generale di libertà di singoli e comunità amministrate, ponendo divieti e obblighi di fare e non fare che, pur indirizzati alla tutela dei beni pubblici importanti, impongono restrizioni ai soggetti considerati». Secondo la Consulta queste ordinanze saranno legittime solo se risponderanno a criteri di «contingibilità e urgenza».
In serata la replica del ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ospite di Bruno Vespa a Porta a Porta: «Ritengo che la bocciatura del potere di ordinanza dei sindaci da parte della Corte costituzionale sia stato un errore. Si tratta di un fatto formale: ci vuole una legge e non un decreto amministrativo e noi rimedieremo per ripristinare questa norma importante».
La sentenza della Consulta lascia perplessi (e disarmati) molti sindaci, soprattutto di centrodestra. Come Attilio Fontana, primo cittadino leghista di Varese, secondo il quale decisioni come quella della Consulta di ieri «affondano la volontà di cambiamento del Paese. Che ciascun sindaco decida di affrontare un’illiceità in un modo piuttosto che in un altro è un’architrave del federalismo, parola che è stata inserita in Costituzione con la riforma del titolo V». Risponderà obbedisco ma senza convinzione il sindaco di Bergamo Franco Tentorio, del Pdl: «Il Comune continuerà a rispettare la legge come ha sempre fatto. Chiaro però che se si tolgono gli strumenti di intervento per migliorare il livello di sicurezza l’efficacia della nostra azione diminuisce». «Non dico che sia una sentenza politica ma potevano risparmiarsela», attacca Flavio Tosi, sindaco leghista di Verona. E anche dai Palazzi romani arrivano critiche pesanti alla sentenza della Corte costituzionale: «C’è da rimanere esterrefatti. Evidentemente la Consulta non ritiene utile dare più poteri ai sindaci per contrastare la prostituzione e i fenomeni di illegalità che avvelenano la vita delle nostre città», sibila Maurizio Gasparri, presidente dei senatori Pdl. «È l’ennesima sentenza che testimonia la volontà di una parte della magistratura di impedire la realizzazione di quelle misure che i cittadini vogliono e che difendono la sicurezza di tutti noi. È un comportamento politicamente inaccettabile», si infuria Marco Reguzzoni, capogruppo della Lega Nord alla Camera. La sentenza della Corte costituzionale origina da un caso sollevato al Tar del Veneto dall’associazione Razzismo Stop contro un’ordinanza antiaccattoni emanata dal Comune di Selvazzano Dentro in provincia di Padova. Ma sono tante le città che dal 2008 hanno sfruttato la legge 125 per usare il pugno duro contro il degrado e il crimine.

A Firenze se la sono presa con i lavavetri e chi si sdraia per terra, a Cortina d’Ampezzo con questuanti e falsi promotori sociali per strada, ad Assisi contro il nomadismo, a Verona ancora contro l’accattonaggio, con tanto di confisca del denaro così racimolato oltre a una multa di 100 euro, a Venezia contro i mendicanti tra i canali, a Voghera contro l’uso delle panchine pubbliche da più di tre persone dopo le ore 23.

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