Inamovibile prof aguzzina

Stefano Zurlo

da Milano

Dall’asilo di via Borsa ad una materna del Giambellino. Un trasferimento di pochi chilometri, da un quartiere all’altro di Milano. Tutto qua. L’insegnante che tappava la bocca ai bambini con lo scotch, distribuiva loro abbondanti razioni di pizzicotti e sberle, li ricopriva di improperi irriferibili, è ancora al suo posto. Solo, in un’altra strada della città. Nove anni dopo la rivolta dei genitori di via Borsa, l’educatrice segue i piccoli di un altro istituto comunale. Intanto, come raccontato dal Giornale l’altro ieri, il processo a suo carico si è concluso con una soluzione all’italiana: accusa prescritta, dopo essere stata derubricata da maltrattamenti ad abuso dei mezzi correzionali. Dunque, da un reato più grave ad uno meno pesante. La sentenza d’appello è arrivata troppo tardi: ormai il tempo della giustizia era scaduto.
Ma in questa storia, forse, era più importante il lato disciplinare. E su questo fronte si registra il nulla assoluto. «Noi - spiega il gentilissimo direttore del Settore infanzia di Palazzo Marino, Sergio Campagnano - di solito sospendiamo l’azione disciplinare quando entra in gioco la magistratura». Fu Fabio Roia, nel ’97, a formulare un capo d’imputazione durissimo. E oggi? «Noi - replica Campagnano - non abbiamo più avuto alcuna comunicazione da Palazzo di giustizia: per noi, il caso è chiuso». Meglio, non è mai stato aperto.
Possibile? «Ho cambiato l’asilo - si legge nei verbali dell’indagine - perché c’era la maestra che a volte metteva lo scotch a qualcuno. Le sberle - prosegue il racconto - ce le dava più spesso sulla faccia e sul sedere. C’era un bambino... mi ricordo che una volta ha vomitato perché la maestra dava sberle troppo forti e qualcuno vomitava». E un altro piccolo: «Ci faceva sedere per terra vicino a lei e ci metteva lo scotch sulla bocca, nelle calze e ci faceva stare lì finché non arrivavano le altre maestre». Infine una bambina: «Una volta io e i miei compagni di classe stavamo saltando su un materasso blu per fare le capriole e lei ci ha picchiati, cioè ci ha dato le botte».
Si può andare avanti per pagine, seguendo le angoscianti deposizioni di bambini che all’epoca dei fatti non avevano più di quattro anni. E di nuovo ritorna la stessa domanda: come mai la signora continua oggi a seguire i ragazzi, esattamente come negli anni Novanta? «Ho interpellato la direttrice della scuola - spiega Campagnano - e lei mi ha detto di essere a conoscenza di questa storia, ma ha aggiunto che l’educatrice è brava, svolge correttamente il suo lavoro, è stimata dai bambini». Pochi mesi fa, l’insegnante ha dovuto però sborsare quasi 7mila euro di risarcimento alle famiglie di quattro ex allievi di via Borsa, difese dagli avvocati Angelo e Magda Granata. Era l’ultimo strascico del procedimento aperto da Roia nel’97.
Lei, la protagonista, non ha alcuna voglia di uscire allo scoperto: «Mi spiace - afferma al telefono - non capisco il suo interesse per la sottoscritta, questa vicenda è finita da un pezzo, non ho niente da dirle. Arrivederci».
Insomma, complice la polvere del tempo che sbiadisce i contorni dei ricordi, parlare di via Borsa suscita più fastidio che riprovazione. E Roia, oggi consigliere al Csm, commenta amaro: «Certo, il procedimento penale è stato lento, ma questo non giustifica la conclusione: nessuno infatti ha messo in discussione i fatti.

In Italia spesso i procedimenti disciplinari funzionano male e a singhiozzo; non si capisce perché il Comune avrebbe dovuto aspettare la fine del processo e un’eventuale comunicazione che i giudici non sono tenuti a dare. In questo modo, e il mio discorso è trasversale alla società e alle professioni, si scaricano sulla magistratura tutte le responsabilità e tutte le aspettative che, invece, dovrebbero trovare risposta altrove».

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