Si è alzato il grido di protesta dei 30mila supplenti, in prevalenza insegnanti, che attendono ormai da tempo il pagamento dello stipendio. Sembrerebbe di diverse mensilità arretrate, in molti casi a partire da settembre, nulla a vedere con le retribuzioni non particolarmente redditizie, per carità, ma pur sempre una solidità finanziaria dei docenti di ruolo.
Per fotografare in che condizioni i precari sono costretti a lavorare, occorre tornare indietro a settembre, mese in cui si assegnano gli incarichi vacanti della pubblica amministrazione, in questo caso nell’infinito mondo della scuola.
Ovviamente i primi in graduatoria vanno a colmare il vuoto delle cattedre, mentre in tanti restano senza un incarico anche dopo l’inizio dello scolastico, vivendo con trepidazione e speranza ogni minuto della giornata, auspicando il momento della svolta. Sì, perché lavorare in Italia è come vincere un terno al lotto, soprattutto nella pubblica amministrazione.
Per non parlare dei sacrifici a cui devono far fronte. I precari - molti dei quali lavorano in trasferta perché sono “costretti” a scegliere province in cui è più alta la possibilità di ricevere un incarico o comunque una supplenza - sperano così in una malattia di un collega anziano o a una maternità di un’insegnante di ruolo. Il telefono squilla: è la segreteria della scuola. Pronti e via verso l’istituto, spesso lontano dal mondo.
Anche qui la fortuna è determinante. Un incarico di pochi giorni o settimane, oppure - sempre nel rispetto della graduatoria - per un paio di mesi o sino alla fine dell’anno.
In entrambi i casi, i supplenti formano i nostri figli con una professionalità che li contraddistingue, sia nella dedizione che nella passione per il proprio lavoro. Ma a fine mese non arriva nessuna buona notizia, anzi si sentono ripetere ormai da tempo: “Non ci sono i fondi”. Ma avere una cattedra è fondamentale, raggiungono così gli istituti scolastici accumulando spesso dei debiti con i propri familiari.
“Siamo presenti tutti i giorni in classe - è lo sfogo di un’insegnante -. L’unica certezza è quella di accumulare punteggio per acquisire una posizione migliore in graduatoria”. Insomma, lamenta ancora, “siamo delle supplenti senza portafoglio, costrette a ingoiare la dignità e l’orgoglio personale e professionale”.
Ma non finisce qui. I supplenti non possono certo esimersi dall’aggioranrsi partecipando a corsi, per la maggiorparte a pagamento. Hanno l’obbligo di superare anche le selezioni, previo pagamento della tassa di iscrizione, per il Tfa, acronimo di Tirocinio formativo attivo, vitale per l’abilitazione all’insegnamento dei precari laureati e diplomati con titolo di accesso alle classi di concorso.
Ad alzare la voce ci ha pensato l’Anief (Associazione nazionale insegnanti ed educatori) a pochi giorni dal Santo Natale.“Tanti lavoratori della scuola assunti a tempo determinato continuano a non ricevere lo stipendio”, è l’accusa dell’associazione .
L’Anief non ha risparmiato dure critiche al governo Renzi, che da mesi sbandiera la “Buona scuola”, la riforma pensata dall’ex sindaco di Firenze insieme al ministro Stefania Giannini.
Anzi, l’associazione ha intenzione di condurre una vera e propria battaglia legale, infatti i legali dell’Anief hanno già predisposto centinaia di decreti ingiuntivi soprattutto “di docenti disperati e costretti a chiedere aiuto al fine di poter pagare le spese di sostentamento dei propri figli, di mutuo, di affitto, di rette per la mensa e per l’asilo nido”.
L’altra faccia della medaglia è tragicomica.
Molti lavoratori della scuola, è la denuncia dell’Anief, “sono andati addiritttura alla Caritas” perché hanno difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena. “Questo è veramente indegno per un Paese civile - è l’acuto dell’associaizone -. Ancora di più se si pensa che lo Stato è il loro datore di lavoro, che non ottempera ai suoi doveri”.
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