Da Porta Pia a "occupy", una protesta nata vecchia

Finiti gli scontri, il corteo mette le tende a Porta Pia imitando Occupy Wall Street con due anni di ritardo. E imponendo disagi a tutti per una protesta senza scopo

Da Porta Pia a "occupy", una protesta nata vecchia

Nella scelta di marketing, il manipolo di michelacci che «assedia» Porta Pia ha mostrato di avere un debole per la quiescente deriva movimentista iberica («indignados») piuttosto che per quella, parimenti quiescente, made in Usa («occupy») - le due che hanno incantato l'antagonismo italiota e che ancora l'incantano pur se finite nel nulla senza aver concluso nulla - e «spagnoleggia» il loro, di movimento, in «acampada».

Eleggendo dunque a nuovo strumento e anzi, a «innesco di un processo sociale più generalizzato di partecipazione e riappropriazione» una vivienda temporal ya sea portátil o improvisada: la tenda. Sollevazione sì, assedio sì, ma con l'arrivo dei primi freddi e delle prime piogge, comodo.

D'altronde, la lotta degli «acampados» è tutta tesa all'agio. Senza fraintendimenti, essendo la loro battaglia di scansafatiche condotta nel nome di «una casa e un reddito per tutti».

Una notevole evoluzione della primaria rivendicazione popolare, passata dalla richiesta classica e drammatica di pane e lavoro a quella, sfrontata e lazzarona di un trilocale doppi servizi e di un tot in moneta per condurre vita comoda senza dover timbrare il cartellino.

Detto in movimentese e per bocca del capo degli «acampados», Paolo Di Vetta, «affermare il nostro diritto ad uno "ius soli generalizzato" (qui si coglie l'ammiccamento al ministro Kyenge, apostola di quella normativa, ndr) che sviluppi il contropotere necessario per sostenere le pratiche di riappropriazione di reddito e di spazi».

Spettanza rivendicata, tanto perché non sussistano equivoci, anche da una componente molto speranzosa degli «acampados», quella dell'«inquilinato resistente», ovvero dagli inquilini che non intendono pagare l'affitto. Essendo questo «un furto» e la casa, ancorché locata, «un diritto».

Diceva Di Vetta, mostrandosi inopinatamente assai portato per il cabaret, che i suoi «acampados» assedieranno i ministeri dell'Economia, delle Infrastrutture e la Cassa depositi e prestiti «decisi a non tornare a casa senza passaggi tangibili, materiali, concreti». Cioè senza le chiavi di una casa e senza il contante in saccoccia.

È quella palla del Sessantotto che sempre riciccia nel movimentismo: siate

realisti, chiedete l'impossibile. E che fa sorgere spontanea la risposta indirizzata non solo agli attendati, ma all'insieme dei manifestanti che sabato hanno ciabattato per le vie di Roma: siate realisti, sì. Andate a lavorare.

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