Da Roma a Perugia a Civitavecchia (nessuno si spinge più lontano, visto il caldo torrido), nasce il Fronte Popolare dei banchetti.
Tutti (o quasi) i leader del centrosinistra - formato XL - in piazza a raccogliere le firme, per inaugurare la campagna referendaria di mezz'estate contro l'Autonomia differenziata. C'è Elly Schlein e pure Maria Elena Boschi, Giuseppe Conte e Bonelli&Fratoianni: ognuno in proprio, in città diverse o quartieri diversi della stessa città. Si è sfilata solo Azione di Carlo Calenda, convinto che il referendum sia un «suicidio». Ma è comunque la celebrazione di una iniziativa comune, contro una legge-simbolo del governo di centrodestra, e consente a Elly Schlein di accogliere le avances di Matteo Renzi: «Noi siamo sempre stati testardamente unitari, per favorire una convergenza su progetti condivisi e candidature credibili», annuncia da Perugia. Senza fare nomi (a parte una battuta sulla «politicizzazione del calcio», con riferimento alla foto dell'abbraccio in campo tra lei e il leader di Iv), perché ovviamente il campo (largo) è minato. E il rientro del Figliol prodigo Renzi crea allarmi e irritazioni nel cuore stesso del Pd (la sinistra che lo detesta, la minoranza riformista che teme di restare priva di ruolo) e nei cespugli, a cominciare dai malconci 5S di Conte.
Del resto la mossa repentina dell'ex premier è stata dettata da vari fattori: la debolezza (a suo parere senza possibilità di ripresa) dei grillini, ormai legati al carro del Pd e non in grado di mettere veti. E i giochi in corso, dal giorno dopo le Europee, per dare alla coalizione anti-Meloni una «gamba di centro» e allargare l'elettorato dopo la virata a sinistra del Pd. Si stavano muovendo in molti, da Prodi (che pensava a una nuova «Margherita» guidata dal sindaco di Milano Sala) a Bettini (che voleva richiamare in campo Rutelli). Renzi ha bruciato tutti sul tempo, per sedersi al tavolo del centrosinistra con Schlein da protagonista. Con un retropensiero: trattare - quando sarà il momento - un congruo numero di collegi per i suoi; liberarsi del ruolo di capo-partito (il progetto è di incoronare la Boschi come segretaria di Iv, ma la fronda capitanata da Marattin promette battaglia e non esclude scissioni) e giocare da battitore libero, occupandosi delle sue consulenze internazionali in attesa degli eventi. «Matteo è il più svelto di tutti ad annusare l'aria, e in caso di crisi di governo e elezioni anticipate pensa di poter tornare protagonista. Magari si immagina già vice-premier di Elly, modello Salvini», maligna un dirigente Pd di estrazione renziana. Carlo Calenda, dal canto suo, liquida la questione con una battuta: «Già il Fronte popolare è argomento che mi provoca una certa crisi di rigetto. Il Fronte popolare con Renzi dentro poi mi sembra un connubio assurdo, tipo il gazpacho con la Coca cola».
Il Pd chiede a Renzi una prima prova d'amore sulle regioni che andranno al voto. Su Umbria e Emilia Romagna in realtà la convergenza è già acquisita da tempo, vista la provenienza «riformista» dei candidati. Più spinosa la questione Liguria, che - nelle speranze del Pd - potrebbe essere accelerata grazie alla cortese spinta della Procura. A Genova, Renzi appoggia il sindaco di centrodestra Bucci.
E su Toti ha preso le distanze dalla cavalcata giustizialista e non ha risparmiato sarcasmi al candidato in pectore dem: «Se alle regionali si candida il mio amico Andrea Orlando, Toti rischia di vincere dai domiciliari». Di certo «non si usano le indagini per attaccare gli avversari». Ma ora il Pd gli chiede la prova d'amore: che farà?
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