Il gruppo De Benedetti torna a soffrire. A 15 anni dal doloroso addio all'Olivetti, l'impero Cir-Cofide è di nuovo in difficoltà. Dopo l'uscita da elettronica e telefonia, l'Ingegnere ha puntato più di tutto su energia ed editoria. Nel frattempo ha lasciato ogni carica (tranne la presidenza dell'Espresso) e ha donato le quote di controllo delle holding ai figli. Ma oggi l'impero, i cui manager forti sono principalmente il figlio Rodolfo, presidente Cir, e l'ad (anche dell'Espresso) Monica Mondardini, vacilla di nuovo proprio per la crisi delle centrali elettriche e dei giornali. Al punto che qualcuno ha ipotizzato anche un clamoroso ritorno in campo dell'Ingegnere. Smentito, ieri, seccamente: «Ridicolo pensare che oggi, a 80 anni, io riprenda la conduzione del gruppo».
I conti della Cir hanno finora tenuto. Ma se a quelli del 2013 si sottraessero i 490 milioni lordi versati da Fininvest (che tramite Mondadori controlla anche il 37% del Giornale) per la sentenza sul «Lodo Mondadori», il gruppo finirebbe in rosso. I numeri si conosceranno il 14 aprile, ma già nel bilancio dei primi nove mesi si trova un utile netto di 10 milioni, reso possibile solo grazie al Lodo. E in prospettiva le cose non promettono bene.
Sorgenia, il gruppo elettrico di cui Cir detiene il 52%, è alle prese con un debito di 1,8 miliardi e sta chiedendo alle banche una ristrutturazione, perché il conto economico è in rosso e la società non è in grado di far fronte agli oneri finanziari. Inoltre, il socio di minoranza, gli austriaci di Verbund, hanno azzerato la quota e non ne vogliono più sapere. Le banche pretendono che Cir partecipi a una ricapitalizzazione che per i De Benedetti diventerebbe rischiosissima.
L'altra gamba energetica, la ex Genco Tirreno Power, di cui Sorgenia ha il 39% e i francesi di Gdf la maggioranza, oltre ad avere a sua volta un ingestibile debito di 800 milioni è finita nei guai per un'indagine sulla centrale di Vado Ligure per possibile «disastro ambientale». La centrale, dove lavorano 200 addetti, è stata addirittura fermata a metà gennaio e due giorni fa si è dimesso il suo direttore generale Giovanni Gosio, che la guidava da 10 anni.
Ai guai energetici si sono aggiunti quelli editoriali. Qui Cir è in buona compagnia perché tutti i gruppi del settore hanno fatto i conti con la crisi di pubblicità e vendite dei prodotti cartacei. Ma prima di tutto, sul gruppo pende la spada di Damocle della condanna (tributaria) a pagare 225 milioni per imposte eluse nel 1991, in attesa di Cassazione dopo numerosi ricorsi. Ma in ogni caso, il fatto nuovo è che Espresso e Repubblica ce l'avevano sempre fatta, finora. Invece, prima è finito in rosso il settimanale, già dal 2012. E per risparmiare 2 milioni l'anno ha prepensionato 12 persone (compensate da 7 assunzioni) su 45 dipendenti; poi è toccato al quotidiano, per il quale Mondardini ha previsto il rosso di bilancio nel 2014, chiedendo 81 prepensionamenti su 440 giornalisti per mettere a regime 30 milioni annui di risparmi sui costi. E qui la vicenda ha assunto i toni dello psicodramma, al punto che nelle redazioni di Repubblica è circolata addirittura l'idea di pubblicare una pagina con 10 domande dirette all'editore, sulla scia del tormentone delle 10 domande poste da Giuseppe D'Avanzo a Silvio Berlusconi sul caso di Noemi Letizia. Una «forzatura» che naturalmente non è andata avanti, ma che ha svelato più di ogni altra cosa il malessere di un gruppo di persone che mai prima d'ora si era trovato in una situazione così difficile e divisiva.
Tanto che di fronte alla scelta tra prepensionamenti (scesi a 58) e un contratto di solidarietà al 15% per tutti, la redazione si è spaccata e la trattativa è ora passata a livello nazionale. E comunque vada, l'impressione è che niente, nemmeno a Repubblica, sarà più come prima.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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